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Il metodo San Siro: "Decidono gli ultras chi entra, dicono 10 e passano in 150". Lotito avverte: "Siamo solo all'inizio"

di redazione sport

Uno steward prova a lamentarsi: "Dovevano entrarne 10, me ne hai mandati 150". La replica: "Zitto o non lavori più". Le intercettazioni

Arresti ultras Inter-Milan, così i capi delle curve comandavano a San Siro. Le intercettazioni svelano tutto

Emergono nuovi dettagli sull'inchiesta che ha portato all'arresto di 19 capi ultras di Inter e Milan. Dagli atti della Procura viene fuori un quadro sempre più inquietante, i capi delle curve, stando alle accuse, non tenevano sotto scacco solo le società ma tutto quello che ruotava intorno a San Siro, avevano agganci con gli steward, con i parcheggiatori nei sotterranei del Meazza e come ammesso da più persone "decidevano loro chi entrava". Dalle intercettazioni questo viene fuori in maniera chiara. "Dimmi, cosa succede?". Al telefono risponde "Renatone" Bosetti. È il re - riporta Il Corriere della Sera - dei biglietti della Nord, il "gestore occulto degli ingressi illeciti allo stadio", spiegano gli inquirenti. A chiamarlo è il delegato alla sicurezza per lo stadio dell’Inter. È preoccupato. La curva esplode di gente.

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"I tuoi al primo anello verde... è palese che sono sia sulle scale che sui seggiolini. Son tutti in piedi, e non va bene. Te l’avevo detto. Devono levarsi dalla scala, ognuno di loro deve avere il posto a sedere, sennò diventa un problema". La telefonata è nel corso di un Inter-Atalanta di quattro anni fa. Ma potrebbe essere una domenica qualsiasi. Perché si ripete a ogni match di San Siro, dell’Inter, come del Milan. "Normalmente gli ultras mi indicano le persone, e io li faccio entrare", ammette uno steward in servizio alle partite dell’Inter: "L’ho fatto per evitare che gli ultras possano “sfondare” e che qualcuno di loro possa minacciare me o i miei collaboratori". Ma gli accordi non vengono rispettati: "Tu mi hai detto dieci (persone, ndr), ne sono arrivati 150!". D’altronde, se non collabori, sono minacce, se va bene. "Tu devi aprire, altrimenti non ti faccio lavorare più".

Claudio Lotito, presidente della Lazio, mette in guardia: "Sono convinto che questa inchiesta sugli ultras sia solo all'inizio. Vedrete - dice a Il Messaggero - che verrà fuori molto altro. Non solo a Milano. Ancora oggi mi attaccano da tutte le parti, ma io combatto. Se scendi a compromessi, sei morto. Io vivo sotto scorta e ricevo 7-8 chiamate al giorno di minacce. Cortei, cori contro, volantini con la mia tomba e le candele, ma tengo il punto e non mi piego. Dal 2004 ho risposto a muso duro a chi voleva biglietti gratis, abbonamenti e trasferte pagate dalla Lazio. Sono contro i soprusi mi ribello con tutti i mezzi che ho a disposizione". Poi Lotito racconta un episodio particolare. "Ricordo quando incontrai quattro ultras della Lazio, uno di questi, pace all'anima sua, era Diabolik. Piscitelli mi disse: "Presidè, buonasera, io sono Diabolik. Lo guardai e risposi: "Io l'ispettore Ginko. Mi chiese se stessi scherzando. No, gli risposi. Io sto sempre dalla parte delle guardie". Poi l'appello allo Stato: "Bisogna prendere provvedimenti normativi affinché il calcio non diventi ostaggio di associazioni criminali".