Costume
Isis, il ruolo delle donne. "Una brigata femminile censura i costumi"
Di Maria Carla Rota
@MariaCarlaRota
Si chiamava Hasna ed era bionda con i capelli lunghi. Era la cugina di Abaaoud, jihadista belga addestratosi in Siria e ritenuto la mente della strage di Parigi. Questa l'identità, secondo l'emittente francese Bmftv, della donna-kamikaze che ha azionato il suo giubbotto esplosivo durante il blitz a Saint Denis. Su questi dati non ci sono conferme ufficiali, mentre il procuratore di Parigi, Francois Molins, ha spiegato che la donna si è fatta esplodere "all'inizio dell'assalto" delle forze speciali.
E sempre oggi la Procura di Milano - nel decreto di fissazione dell'udienza preliminare a carico di Maria Giulia Sergio, alias Fatima - scrive che la giovane 28enne, partita per la Siria da Inzago, sarebbe stata "disponibile all'esecuzione di qualsiasi azione richiesta dall'organizzazione compreso il martirio". Donne combattenti che ai jeans preferiscono la cintura esplosiva. Questi sono i casi più attuali, ma negli ultimi mesi i media hanno raccontato numerose storie: dalle tre adolescenti inglesi fuggite a Raqqa, la capitale dell'Isis, alle 40 giovani australiane partite per la Siria o l'Iraq come "spose della jihad" di cui parlò in Parlamento il ministro degli Esteri di Canberra, Julie Bishop. E poi c'è Hayat Boumeddiene, la compagna di Amedy Coulibaly, jihadista che a Parigi aveva attaccato un negozio kosher nei giorni dell'attentato a Charlie Hebdo: "Adesso vivo con i jihadisti dell'Isis", ha dichiarato pochi mesi fa.
Quello dei foreign fighters, sia uomini che donne, dell'Isis è un fenomeno in continua crescita, come spiega ancora oggi la procura di Milano: "E' emerso in modo chiaro il flusso continuativo e particolarmente consistente dei cosiddetti foreign fighters da numerosissimi paesi e la capacità dell'organizzazione terroristica di smistare i volontari qualunque fosse la provenienza". Si stima che il 10-15% dei combattenti stranieri giunti in Siria siano donne. Anche loro sono giovani o giovanissime, come i loro 'colleghi' maschi.
Affaritaliani.it ne ha parlato con Paolo Maggiolini, ricercatore dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) ed esperto di terrorismo. Innanzitutto un avvertimento: "Quello delle foreign fighters è un aspetto ancora molto poco indagato e controllato. E' vero che si tratta di una percentuale minoritaria, ma a maggior ragione non va sottovalutato".
Tra i punti più oscuri, ci sono le motivazioni che possono spingere una ragazza a lasciare l'Occidente e lo stile di vita in cui sono cresciute per arruolarsi nello Stato islamico, dove l'idea di donna è ben diversa. Sono pronte ad accettare un ruolo di sottomissione e a rischiare di essere usate come kamikaze o, più probabilmente, come schiave del sesso. "C'è un insieme di ragioni diverse e bisognerebbe indagare il grado di consapevolezza di queste ragazze così giovani - spiega Maggiolini -. A volte la decisione può maturare in un contesto di disagio socio-economico, altre volte invece intervengono meccanismi psicologici del tutto personali, che si possono individuare solo studiando il profilo del singolo".
Ci sono poi motivazioni che vengono suggerite dalla propaganda e che possono esercitare fascino su certe menti: "Da subito l'Isis si è presentato come un vero e proprio Stato, quindi come luogo dove potersi trasferire a vivere. Una sorta di famiglia pronta ad accogliere chiunque sia pronto a spendersi per la jihad. La propaganda invita all'immigrazione gli interi nuclei familiari". Poi c'è l'idea del mito: "Si vuole contribuire alla causa, sposarando magari un guerrigliero, per sentirsi parte della storia".
Quando si tratta di combattere, l'Isis fa poche distinzioni di sesso: "Le esigenze pratiche prevalgono. Le donne sono messe sullo stesso piano degli uomini. Se bisogna difendere il territorio, difendersi dall'attacco degli stranieri diventa un dovere individuale. E' stata propagandata anche l'esistenza di un'accademia per sole donne per la loro formazione militare". Donne guerrigliere, insomma, pronte a dare la vita come la donna che si è fatta esploidere a Saint Denis. "Le donne kamikaze non sono una figura nuova. Nella storia recente il caso più eclatante è quello delle Vedove Nere nella strage di Beslan nel 2004".
Per chi non abbraccia la scelta militare, ci sono comunque ruoli attivi, accanto a quello tradizionale di moglie, che riguardano per esempio la partecipazione al controllo del costume: "C'è una brigata tutta al femminile che controlla che i comportamenti delle donne nei luoghi pubblici siano consoni ai severi dettami dell'Isis". E poi la militanza virtuale: "Sul web il problema della promiscuità è secondario. Qui le donne come gli uomini si impegnano per il sostegno della causa".