Cronache
Il tempo non esiste, la sindrome da viaggio di ritorno è la prova
La percezione del tempo è una delle forze guida per gli uomini, ma c'è una sensazione che chiunque di noi ha potuto sperimentare: l'effetto ritorno. Quando si passa da un posto ad un altro e poi torniamo indietro il viaggio di ritorno risulta spesso più breve del viaggio di andata, anche se la distanza percorsa e la durata effettiva dei viaggi sono quasi identiche. I ricercatori dell'università di Kyoto hanno trovato una possibile soluzione all'enigma che mette in crisi la nostra idea stessa di "tempo".
Tutto risiederebbe nel nostro sistema nervoso che ci consente di avere la percezione del "tempo". Un sistema che inganna i nostri sensi e può indurre ad una percezione distorta della realtà e del tempo che passa menre viaggiam in auto, in treno, in bici, a cavallo, a piedi. A guidarci ci siano due condizioni di base: la consapevolezza che ci sarà un ritorno e la non periodicità del tragitto. I lavoratori pendolari che fanno lo stesso percorso tutti i giorni, quindi, non percepiscono l'effetto "viaggio di ritorno" e non lo sente nemmeno chi compie due percorsi della stessa lunghezza, scollegati tra loro: perché compaia l'illusione bisogna essere andati da qualche parte e tornare indietro, sapendo che di ritorno si tratta.
I ricercatori giapponesi Ryosuke Ozawa, Keisuke Fujii e Motoki Kouzaki, hanno sottoposto a complessi test psicologici e medici due gruppi di persone sono stati mostrati i filmati di due camminate di venti minuti ciascuno. Il primo gruppo ha visto un filmato in cui un cameraman va da un punto S (start) a un punto E (end), e poi un altro in cui viene rifatto il percorso al contrario. Il secondo gruppo ha visto il primo filmato "di andata" come l'altro gruppo e poi un secondo diverso: la distanza tra i due punti era equivalente ma cambiava l'itinerario della passeggiata. Solo il primo gruppo, dopo che ogni persona era stata sollecitata a riflettere sul tempo trascorso e a valutare la lunghezza dei due percorsi, sosteneva che il secondo filmato fosse più breve del primo.
Difatti la percezione per lunghi intervalli di tempo è attribuita ai processi cognitivi come la memoria o l'attenzione, mentre le nostre risposte fisiologiche al trascorrere del tempo non si basano solo sull'oscillazione del nostro orologio interno ma in base a processi cognitivi più complessi quali le emozioni. Il risultato del loro esperimento, edito dal dipartimento di psicologia dell'Università di Cambridge, è stato pubblicato sul giornale scientifico Plos One.