Cronache

Stupro Palermo, profili fake e caccia al video: ecco cosa rischiano gli utenti

di Eleonora Perego

Affaritaliani.it ha interpellato l'avvocato e professore di Informatica giuridica Giovanni Ziccardi per delineare reati e responsabilità degli utenti

Stupro di Palermo, tra profili fake e caccia al video. Ecco cosa rischiano gli utenti del web: l'intervista di Affari all'avvocato Ziccardi

Stupro di gruppo, otto persone coinvolte: sette ragazzi – “mostri” come li definisce il web – e una ragazza di 19 anni, la vittima. Tutto avvenuto nella notte del 7 luglio al Foro Italico di Palermo. Tutto documentato, filmato attraverso un cellulare e buttato in pasto alla rete. Il racconto di 20 minuti di una violenza inaudita che, ad oggi, sta viaggiando alla velocità della luce divulgando dati, volti, voci di persone poco più che maggiorenni, e che in migliaia stanno cercando. Morbosamente, attraverso la piattaforma Telegram.

Con sadica naturalezza, la stessa che ha spinto ignoti a “rubare” i profili social di alcuni degli accusati e utilizzare video realizzati su TikTok in passato per inscenare un’autodifesa, imputando ai presunti stupratori frasi mai dette, mai pronunciate (in quanto già fermati dalle Forze dell’Ordine). Otto persone coinvolte, sette accusati. O forse dovrebbero essere molti di più? Sì perché non sembra senza risvolti giuridici la condotta dei migliaia di utenti che offrono denaro per la visione del video della violenza, condividono o commentano i video “fake” su TikTok manomessi ad arte da qualcuno.

Si rischia, si rischia eccome: Affaritaliani.it ha interpellato Giovanni Ziccardi, avvocato e professore di Informatica Giuridica presso l’Università degli Studi di Milano, per capire in quali conseguenze possono incorrere coloro che “innocentemente” vogliono interagire con la vicenda dello stupro di Palermo.

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Partiamo dal video della violenza. Migliaia di utenti, persone normali, lo stanno cercando. Possono incorrere in qualche tipo di responsabilità?

Ci sono tre aspetti, dal punto di vista delle responsabilità penali, da valutare in capo a chi sta cercando il video della violenza sia su vari gruppi, sia offrendo denaro sia, ancora, per condividerlo di nuovo con terze persone. Il primo aspetto, quello più ampio, riguarda, in generale, la necessità di rispetto della dignità della persona e, in questo caso, di una persona particolarmente vulnerabile e già traumatizzata perché vittima di violenza sessuale.

Il video di una persona oggetto di tale violenza è in grado, nel momento in cui circola e diventa virale, di amplificare il danno, per quella persona e per i familiari, a livelli impossibili da prevedere. L’amplificazione del danno si unisce ad altri due elementi dannosi, ossia la persistenza e la viralità. La “persistenza” comporta che quel video più circolerà e più sarà difficile da rimuovere dalla rete. In altre parole, rimarrà per sempre, e potrà in ogni momento, in futuro, ritornare di attualità.

Il fenomeno della “vittimizzazione secondaria”…

Si immagini il conseguente stigma per la persona. “Viralità” significa, invece, che il video ha preso vita e grazie ai meccanismi di condivisione se ne è perso il controllo e ha raggiunto, o sta raggiungendo, centinaia di migliaia di persone e continuerà a circolare sempre di più. Ecco, se uniamo amplificazione del danno + persistenza + viralità, e riflettiamo sul fatto che ci stiamo occupando di un tema così delicato (una violenza) e di un soggetto così vulnerabile (una giovane), comprendiamo quanto questi comportamenti possano non solo violare la dignità e la reputazione di una persona ma, anche, causare ulteriore male. Tutti questi soggetti stanno, in poche parole, contribuendo ad amplificare il danno.