Culture

"Mio padre scriveva i decori funebri: così io combatto la morte con le parole"

Di Lucrezia Lerro

Membro della Società Milanese di Psicoanalisi e direttore dell’Irpa, lo psicoanalista Massimo Recalcati racconta su Affari le sue fatiche letterarie più celebri

Attorno a noi c’era solo morte e distruzione. Sembrava stessimo perdendo il mondo come lo avevamo conosciuto e amato. Era una prova di resistenza. La stessa che ha inaugurato la mia vita. Sono nato prematuro con il marchio della morte stampato addosso. Sono sopravvissuto al freddo e al gelo dell’incubatrice, al sacramento dell’estrema unzione, al destino che mi voleva morto già appena nato… Ebbene “Amen” racconta di questa resistenza, di questo spasmo – il battito del cuore, il rumore del passo – che non smette di esistere. E’ la presa indelebile che fece su di me “il Sergente nella neve” di Rigoni Stern che lessi da ragazzo e che resta lo sfondo di “Amen”. Ero stato un piccolo sergente nella neve nella mia lotta contro la tentazione di lasciarmi sprofondare nel sonno, nel gelo della morte.

Partiamo dall’inizio. Qual è stato in assoluto il primo lavoro di scrittura?

Un testo teatrale titolato “Il baltico nell’occhio del sorvegliante.” Non avevo ancora vent’anni. Fu messo in scena una sola volta in un teatrino sperimentale. Eravamo alla fine degli anni settanta. Da qualche parte lo conservo ancora. Era un testo fatto di immagini e di ricordi. Un pasticcio in realtà…

Marcel Proust nel libro “La lettura”, prezioso volumetto che racconta al lettore il viaggio dello scrittore nei libri, fa sprofondare il lettore in un’atmosfera di scoperta continua. Nel suo testo “A libro aperto, una vita e i suoi libri”, ho ritrovato un’atmosfera di quel genere, magica ed evocativa. Che cosa può dirci delle sue letture