Economia
Arvedi, forni green e caro-energia: alla siderurgia servono "nervi d'acciaio"
La nuova mappa dell'acciaio italiano dopo il closing della cessione di Ast ad Arvedi (con l’incognita del Pnrr)
Il risiko dell'acciaio fra l’aumento dei prezzi delle materie prime, il caro-energia e la sfida della riconversione
Con l’acquisizione di Ast (Acciai Speciali Terni) da parte di Arvedi, si è creato un nuovo leader nel mondo della siderurgia, capace di produrre 5,5 milioni di tonnellate di acciaio grazie allo sforzo di oltre 6.000 dipendenti divisi tra lo stabilimento umbro e quello di Cremona. Arvedi ha rilevato l’azienda dalla tedesca Thyssenkrupp che pure mantiene una quota del 15% dell’acciaieria e ottiene un beneficio economico di circa 600 milioni di euro.
Arvedi, con le spalle decisamente più larghe, supera di slancio Acciaierie d’Italia, l’ex-Ilva che lo scorso anno si è fermata a “sole” 3 milioni di tonnellate a causa del fermo dell’altoforno numero 4. Ma che momento sta vivendo l’intera industria siderurgica? E che spazio può trovare un comparto come questo – definito hard to abate, ovvero, come si legge nel Pnrr, “caratterizzati da un'alta intensità energetica e privi di opzioni di elettrificazione scalabili” – in un’economia che deve necessariamente votarsi al green?
Partiamo dallo stato attuale delle cose. La siderurgia italiana attualmente dà lavoro a oltre 33mila persone, è la seconda n Europa dopo quella tedesca e fattura quasi 60 miliardi con player come Duferco, Arvedi di Cremona, Danieli di Buttrio, Feralpi di Lonato del Garda, le Acciaierie Venete di Padova, Ori-Martin di Brescia, FinMar (Marcegaglia) di Mantova.
Nel Pnrr si riconosce l’importanza della siderurgia, ma si sostiene la necessità di renderla più sostenibile. Per questo sono stati destinati due miliardi alla sperimentazione dell’idrogeno nel comparto, riconoscendo a quell’elemento un ruolo rilevante nell’ottica di decarbonizzazione. Un ciclo dell’acciaio basato su tecnologie più sostenibili “con metano e fusione in un forno elettrico genera circa il 30 per cento in meno di emissioni di CO2 rispetto al ciclo integrale, e il successivo sviluppo con idrogeno verde aumenta l’abbattimento delle emissioni al circa 90 per cento” si legge nel Pnrr.
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