Economia
Auto, le grandi case non vendono più: migliaia di licenziamenti in tutta Europa. L'esperto: "Ecco tutte le ragioni dietro la crisi"
Perdita di competitività, pigrizia e mancanza di strategia: da Ford a Volkswagen a Bosch, tagli dell'organico in tutto l'automotive europeo. Parla Riccardo Gallo, presidente dell’Osservatorio delle Imprese della Sapienza Università di Roma
Automotive, da Ford a Volkswagen a Bosch. Tagli dell'organico in tutto l'automotive europeo
Una crisi che non risparmia nessuno, ma miete sempre più vittime. L’emergenza in cui riversa il settore dell’automotive europeo non è più una situazione da sottovalutare: le vendite crollano, soprattutto quelle dei veicoli elettrici, e i margini si riducono all’osso. E così le grandi case reagiscono tagliando costi e personale.
Volkswagen ha già chiuso uno stabilimento e fatica a gestire i costi del lavoro in Germania. Ford, Mercedes e Bosch seguono con migliaia di licenziamenti in tutta Europa, mentre Stellantis, senza colpire direttamente i dipendenti, fa largo uso della cassa integrazione in Italia. Il ministro Urso insiste per avere da Tavares un “Piano Italia” entro Natale, ma i tempi stringono e la pazienza è agli sgoccioli. Affaritaliani.it ha analizzato i retroscena di questa crisi insieme a Riccardo Gallo, presidente dell’Osservatorio delle Imprese della Sapienza Università di Roma.
Professore, come siamo finiti in questa crisi dell’automotive nel 2024? Quali sono stati gli errori fatali degli ultimi anni e le scelte sbagliate che ci hanno portato fin qui?
Nei primi 15 anni di questo millennio l’industria mondiale dell’auto aveva attenuato un precedente eccessivo, non più sostenibile, frazionamento societario dei costruttori, grazie a un processo di concentrazione che gli esperti avevano auspicato e previsto fin dal 2002. Nel 2017 il bilancio aggregato dei primi 15 costruttori di auto al mondo (Ford, Peugeot, Renault, Bmw, Daimler, VW, Toyota, Nissan Honda, GM, Exor, Hyundai, Tata, Saic, Kia), elaborato dall’Area Studi Mediobanca, mostrava nel complesso un sufficiente stato di salute economica e finanziaria, con una redditività delle vendite stabilmente intorno al 6% e debiti finanziari solo poco superiori al capitale dei soci.
Nel 2020 scoppiò una crisi mondiale dei semiconduttori, causata dalla pandemia, dalla conseguente chiusura di molti impianti di produzione e dall’esaurimento delle scorte, oltre che da una siccità a Taiwan. La crisi dei semiconduttori si ripercosse sull’industria dell’auto che fu costretta a ridurre i volumi di produzione. Siccome la domanda di mercato restava alta, i prezzi delle auto si impennarono, in misura tale che, nonostante il minor sfruttamento della capacità produttiva, i costruttori presentarono risultati economici entusiasmanti, ben superiori a quelli del 2017 qui ricordati. Questi livelli di redditività beneficiavano anche di incentivi pubblici generosi sull’acquisto di nuove auto, oltretutto non indispensabili visto che il problema non stava certo dal lato della domanda. Questi livelli sono stati confermati fino all’anno scorso e hanno riguardato tutti i costruttori, compresa Stellantis.
Negli ultimi 10 anni, l’industria ha cominciato ad affrontare anche la transizione dei carburanti per i motori ma con molti dubbi, senza una strategia chiara, univoca, e senza nemmeno le necessarie infrastrutture statali. Ne ha scritto l’Osservatorio delle Imprese della Sapienza in un rapporto di settembre 2023 (https://www.ing.uniroma1.it/documenti-di-lavoro) al ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica. Nel 2024 è finita la congiuntura favorevole senza che nel frattempo l’auto europea abbia imboccato una strategia competitiva.
Il mercato europeo dell’auto arranca, con una crescita quasi impercettibile dello 0,1% a ottobre. Cosa c'è dietro questa stagnazione? È solo una flessione temporanea?
Tutti gli esperti sapevano che la redditività degli ultimi tre anni era anomala e non poteva continuare a lungo. Qualche costruttore l’altr’anno aveva cominciato a lanciare l’allarme. Finita l’onda congiunturale favorevole, è emersa una questione strutturale. La flessione europea infatti rispecchia la perdita di competitività dei suoi paesi membri, che esprimono anche il grosso del mercato dell’auto. Pochi lo sottolineano, ma la Germania (che è il paese europeo leader nell’auto) in 5 anni ha perso 7 posizioni nella graduatoria mondiale della competitività stilata dall’IMD di Losanna, essendo passata dalla 17esima posizione nel 2019 alla 24esima nel 2024.
Nonostante tutte le promesse, le vendite di auto elettriche non sembrano decollare in Europa. È colpa delle infrastrutture, dei prezzi troppo alti o semplicemente di una comunicazione che non fa breccia nel pubblico?
È colpa un po’ di tutto in Europa: di pigrizia imprenditoriale, incertezza strategica, comunicazione. Infatti, gli utili esagerati degli ultimi anni sono stati distribuiti, non sono stati lasciati a disposizione come autofinanziamento di investimenti in tecnologie innovative. Inoltre, quando ci riferiamo alla Cina, pensiamo solo all’auto elettrica, trascuriamo che la Cina investe a tutto tondo nelle tecnologie, non solo delle batterie e dell’approvvigionamento delle terre rare, che ne sono la materia prima. E non investe solo nell’elettrico e nelle infrastrutture di alimentazione.
In tutta Italia, per il trasporto stradale pesante, solo 40 stazioni di rifornimento di idrogeno sono in fase di realizzazione grazie a risorse del PNRR. A fine marzo 2023, l’Ue ha annunciato un nuovo atto legislativo fondamentale per sviluppare infrastrutture per i carburanti alternativi. Ma, per vedere entro il 2030 almeno una stazione di rifornimento di idrogeno ogni 200 km della rete centrale trans-europea, occorrerà aspettare che le Istituzioni europee l’approvino ufficialmente. Nell’elettrico il ricaricamento è molto difficile, anche la comunicazione è ostile, tutto è in evoluzione e il consumatore che vorrebbe comprare aspetta l’anno che verrà per capirne di più.
Volkswagen e il sindacato IG Metall stanno trattando una riduzione salariale per mantenere i posti di lavoro e evitare di chiudere gli stabilimenti. È una strada percorribile anche per l’Italia e per Stellantis, o è una soluzione che farebbe fatica a decollare nel nostro sistema?
Quando il giro d’affari cala, i costi fissi (che sono il lavoro e l’ammortamento delle fabbriche e delle immobilizzazioni immateriali inerenti il patrimonio ottenuto con la ricerca) diventano insostenibili, quindi la prima cosa che viene in mente è tagliare l’organico o i livelli retributivi. Tutti gli esperti sanno che in Germania ci sono i salari più alti. In Italia la situazione è molto diversa. Elaborando i Dati cumulativi dell’Area Studi Mediobanca ho trovato che nell’industria di costruzione dei mezzi di trasporto il costo del lavoro - mentre nel 2014 rappresentava l’83% del valore aggiunto (cioè della ricchezza prodotta) - nel 2023 è sceso al 57%. Nello stesso periodo l’utile netto (che remunera il capitale dei soci) dal 15% del valore aggiunto è salito al 34%, cioè è più che raddoppiato. C’è stato dunque un travaso di ricchezza dal lavoro al capitale. Gli utili nel 2023 sono stati distribuiti per il 60%, per lo più sono stati quindi sottratti al finanziamento di nuovi investimenti. In questa situazione mi parrebbe ingiusto e impraticabile cercare la soluzione in un ulteriore sacrificio del fattore lavoro.
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Bosch, Ford, Stellantis, Mercedes, Volkswagen: i colossi dell’auto stanno tagliando posti e chiedendo sacrifici. Il ministro Urso vuole un piano per l’Italia da Tavares prima di Natale. Ma cosa c'è dietro questa frenesia di risparmi? È una reazione tardiva, un tentativo disperato di salvarsi?
Il ministro Urso vanta alcune eccellenze professionali nel suo staff tecnico, ma non mi risulta che dia loro indirizzi politici lungimiranti, non mi risulta che gli chieda per esempio di avvalersi di esperti internazionali nel campo dell’automotive. Si limita a organizzare tavoli di trattativa nei quali fa pressioni indicibili su Stellantis affinché garantisca determinati livelli produttivi e occupazionali in Italia. Nel ministero di Urso poco meno di 40 anni fa io feci il responsabile dell’Ufficio Vertenze Industriali e poco più di 20 anni fa guidai la trattativa per la crisi Fiat. Ebbene, a novembre del 2002 un sabato mattina Palazzo Chigi mi chiese di adoperarmi per trovare un superconsulente di strategie nell’auto. Io cercai e trovai Roland Berger, che era stato già ascoltato in Parlamento e che generosamente accettò. Oggi tutto è diverso. Fossi io in Tavares risponderei al ministro Urso che prima bisogna aspettare l’impatto sulla competitività dell’Italia del suo nascente piano di politica industriale. Alla fine degli anni ‘90 l’Italia era 30esima nella graduatoria della competitività, quest’anno è 42esima… In conclusione, ritengo che arriverà prima la Germania a fare sistema tra i suoi costruttori e che l’Italia si accoderà.