Economia
Dal Pnrr 6 mld per innovare le Pa. Ma i governi non sono in grado di spenderli
La transizione digitale in Italia? Dire che è in ritardo è un eufemismo. Eppure i fondi (dall'Ue) ci sono, ma i governi...
Il bello è che la norma definisce “strategico” l’obiettivo “di assicurare lo sviluppo del processo di digitalizzazione, nell'interesse generale e per la crescita del Paese, attraverso soluzioni innovative e tecnologiche che consentano di accedere in forme semplificate ai servizi della pubblica amministrazione, ottimizzandone la fruizione”.
Il Recovery era ancora di là da venire, così come il Covid, eppure al tempo il governo pensava al “superamento del divario digitale” e alla “coesione sociale e territoriale” per “conseguire maggiore efficienza, tempestività e uniformità in tutto il territorio nazionale nell'erogazione di servizi pubblici anche in modalità digitale”, anche allo scopo di far crescere il commercio elettronico.
Tutto molto giusto, peccato che ben quattro governi finora succedutisi non si siano ancora preoccupati di scrivere il regolamento attuativo, almeno fino alla data del 20 febbraio scorso.
Il provvedimento non reca termini espliciti di scadenza, secondo quanto riferisce l’Ufficio per il programma di governo di Palazzo Chigi, ma dire che siamo in ritardo è un eufemismo. In particolare, l’inerzia fa capo al Dipartimento della Funzione pubblica - oggi guidato dal ministro Paolo Zangrillo - in veste di amministrazione proponente.
Per carità, il Dfp è in buona compagnia, se si considera che sempre alla data del 20 febbraio il governo Meloni ha ereditato 419 provvedimenti attuativi dalle due precedenti legislature, cui ha già aggiunto 135 testi secondari di propria produzione, stando al monitoraggio confezionato dal Servizio per il controllo parlamentare.