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LONDRA - Una produzione in costante aumento (del 3% all’anno, con un picco del 5% nel 2017), nonostante un calo degli investimenti del 13% nell’upstream (fasi di esplorazione, sviluppo e produzione) rispetto alla precedente strategia e un dividendo stabile di 0,8 euro per azione nel 2017. Cedola che potrebbe essere più corposa nel quadriennio in linea con la crescita degli utili.
Sono questi i due punti principali del nuovo piano industriale triennale dell’Eni, appena presentato alla comunità finanziaria a Londra, strategie che si situano sempre nell’era del petrolio low cost (che per il momento non si schioda da quota 50 dollari nonostante le forbici dell’Opec) e con cui con cui l’amministratore delegato Claudio Descalzi, in scadenza, cerca la riconferma per un nuovo mandato (ha appena incassato la fiducia del Cda sul caso Nigeria per cui è indagato per corruzione).
Grazie a un’ottimizzazione dei processi di esplorazione-produzione (in modalità “near field” con la quale viene accelerato il tempo con cui è possibile monetizzare le scoperte), il numero uno del Cane a sei zampe conta di attenuare l’impatto di una riduzione complessiva degli investimenti dell’8% (-10% del Capex nell'esplorazione) rispetto al precedente piano e di realizzare un free cash flow superiore ai 20 miliardi di euro e un cash flow operativo di 47 miliardi. Mettendo a segno anche nuove dimissioni per 5-7 miliardi al 2020 che vanno ad aggiungersi ai 18 miliardi di cessioni incassati negli ultimi 4 anni.
Dove? Il 60% avverrà nei prossimi due anni. Da questa somma sono escluse la quota residua in Saipem, e le attività del settore chimico. Nel dettaglio, riguarderà per 3-4 miliardi la cessione di quote di giacimenti di cui Eni ha la maggioranza. Una cifra compresa fra 1,5 e 2 miliardi invece arriverà dalle attività di esplorazione e produzione, mentre 500 milioni ed un 1 miliardo proverrano dalla dismissione delle attività di downstream (escludendo le attività retail Gas&Power, che saranno scorporate). Il precedente piano industriale, 2013-2016 prevedeva dismissioni per 20 miliardi, di cui 2 dalla cessione del 40% del campo di Zohr nell'off shorein Egitto.
“Dopo due anni di bassi investimenti e di sfiducia nell’industria del petrolio a livello globale, ora ci aspettiamo un lento aumento dei prezzi del petrolio fino a 70 dollari al barile nel 2020. Nonostante ciò, continueremo ad avere un approccio prudente, terremo la nostra Capex cash neutrality (possibilità di finanziare i nuovi investimenti con la cassa, senza ricorrere a finanziamenti, ndr) sotto i 45 dollari al barile in media nei 4 anni del piano. La flessibilità finanziaria garantirà così la sostenibilità della nostra politica di remunerazione in uno scenario di prezzi del petrolio bassi e ci permetterà di cogliere le opportunità che si presenteranno se lo scenario economico migliorerà”, ha spiegato Descalzi agli analisti finanziari.
Il titolo Eni, già in forte rialzo per l'andamento del business nel quarto trimestre del 2016 che lascia ben sperare per i prossimi, ha consolidato l'incremento del 3%, a un soffio dalla soglia psicologica dei 15 euro per azione. Nell'upstream, Descalzi intende azionare la leva della crescita della produzione di idrocarburi attraverso il ramp-up (progressivo incremento di flussi già avviati), l'avvio di nuovi progetti e l'ottimizzazione della produzione, che daranno un contributo totale di circa 850 mila barili di olio equivalente al giorno nel 2020.
L'esplorazione rimane un fattore chiave per la crescita: nell'arco del piano il colosso di San Donato prevede nuove scoperte per 2-3 miliardi di barili di petrolio equivalente, quasi il doppio delle scoperte del piano precedente, con la perforazione di circa 120 pozzi in oltre 20 Paesi. Con la flessibilita' di portafoglio e la strategia esplorativa, le sinergie con gli asset esistenti e la rinegoziazione dei contratti, il breakeven medio dei nuovi progetti è di circa 30 dollari al barile.
Nel settore Gas&Power, dove conta di raggiungere il breakeven quest'anno, grazie all'allineamento dei contratti di fornitura di gas alle condizioni di mercato e alla riduzione dei costi legati alla logistica, Eni si concentrerà principalmente su "massimizzazione del ritorno del gas equity, sullo sviluppo di un portafoglio Gnl competitivo e sulla trasformazione del settore retail in consociata", lo spin-off societario cioè del retail del Gas&Power valorizzando il business esistente della distribuzione.
Infine, per affrontare le debolezze strutturali del settore della raffinazione, l'obiettivo di Eni è di ridurre il margine di breakeven a circa 3 dollari al barile entro il 2018. Per raggiungerlo, il gruppo guidato da Descalzi farà leva sull'ottimizzazione degli impianti, sull'aumento della produzione della bio-raffineria di Venezia e sull'avvio di quella di Gela (con un obiettivo di produzione di oltre 1 milione di tonnellate) e sulla razionalizzazione della logistica.
Questo genererà un flusso di cassa operativo cumulato di 3,3 miliardi e un aumento dell'Ebit di 300 milioni nel periodo di piano, a scenario costante 2017. Nel settore della chimica, Eni conta di realizzare un Ebit di circa 300 milioni all'anno e un flusso di cassa operativo cumulato di 1,2 miliardi con maggiore integrazione e flessibilità, nuovo focus su specialità ad alto margine, chimica verde ed espansione internazionale.