Economia

Esg e tassonomia sulle Pmi: l'intervento di Affari al webinar di Ikn Italy

Il condirettore di Affari Marco Scotti ha aperto i lavori del webinar "Tassonomia condivisa per supportare le PMI nella rendicontazione sostenibile"

Affari ha moderato l'evento "Tassonomia e sostenibilità: come supportare le Pmi". Alla tavola rotonda Marco Scotti, Felicita de Marco (Iccrea) e Ottavio Pennisi (Net Insurance)

Partiamo da un assunto: non esiste una norma che dica esattamente che cos’è la sostenibilità, quali sono i piani da fare per le aziende, quali sono i percorsi che devono essere intrapresi. Ci sono soltanto delle date, la prima delle quali è praticamente domani visto che parliamo del 2035. Ma che cosa rende un’azienda sostenibile e, quindi, interessante?

La verità, soprattutto, è che manca una definizione dell’ESG. La “e” di Environment in che cosa si sostanzia? Nella riduzione del consumo di carta? Di carburante? Nel taglio delle emissioni? E chi certifica che le aziende, e le pmi a maggior ragione, sono davvero sostenibili? C’è da aprire il grande vaso di pandora degli enti di certificazione che troppo spesso sono al tempo stesso clienti e controllori delle aziende e vengono pagati per far risaltare le (poche) azioni messe in campo.

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Molta è dunque la confusione sotto il cielo ed è per questo che non è più procrastinabile una norma comune, almeno europea, che definisca una volta per tutte di che cosa parliamo quando diciamo sostenibilità. La recente diatriba intorno alle automobili a motore termico o a motore elettrico – senza voler entrare nel merito di questa o di quella posizione – rappresenta l’emblema di come a livello continentale manchi un sentire comune e, dunque, sia impossibile trovare un accordo almeno per ora.

Fondamentale, da questo punto di vista, è il coinvolgimento di fondi d’investimento e altri soggetti che portino a “industrializzare” il processo e a garantire una oggettivizzazione delle regole Esg. Il ceo di Blackrock Larry Fink «Le imprese ottengono risultati migliori quando sono consapevoli del loro ruolo all’interno della società e quando agiscono nell’interesse dei loro dipendenti, clienti, comunità e azionisti».

Il mercato finanziario sta seguendo direttrici simili: è boom di green bond. Si tratta di obbligazioni verdi, ovvero destinate unicamente al finanziamento di progetti con caratteristiche di sostenibilità ambientale: miglioramento dell’efficienza energetica, mitigazione dei cambiamenti climatici, controllo dell’inquinamento, edilizia eco-compatibile, utilizzo pulito delle fonti.

Nati ufficialmente nel 2007, inizialmente venivano emessi principalmente da istituzioni finanziarie sovranazionali, come la Banca mondiale o la Banca Europea per gli Investimenti. Ben presto però, anche le aziende e le agenzie statali hanno capito la portata di questo nuovo strumento e l’importanza di proporre soluzioni in linea con i principi di sostenibilità a 360 gradi: nel 2022, il volume di obbligazioni Green, Social e Sustainability (Gss) offerte al mercato ha raggiunto un totale di 850 miliardi di euro, con i green bond che hanno rappresentato il 50% delle emissioni Gss.

Il Parlamento europeo e gli Stati membri hanno raggiunto un accordo (il 28 febbraio scorso) per stabilire uno standard europeo per le società che vogliono utilizzare il termine “European green bond”, al fine di prevenire il greenwashing finanziario, ovvero il “ripulirsi” la coscienza in nome della sostenibilità. In particolare, le organizzazioni quando vendono un’obbligazione verde saranno tenute a divulgare informazioni su come verranno utilizzati i proventi. Alcune aziende, per ora di grandi dimensioni, hanno addirittura legato al raggiungimento di determinati Kpi “green” il finanziamento verde.