Economia

Pellicioli, le 3 vite da manager. In pensione l'uomo che sussurrava ai salotti

di Andrea Deugeni

Con l'approvazione del bilancio, a giugno 2022, della holding De Agostini si ritirerà il Ceo Lorenzo Pellicioli, uno dei protagonisti della finanza tricolore

Francesco Paolo MattioliFranco Tatò ed Eugenio Scalfari

In quel periodo, Pellicioli lavora a stretto contatto anche con Franco Tatò, che era amministratore delegato della Mondadori quando Pellicioli si occupava della raccolta pubblicitaria del gruppo di Segrate ed Eugenio Scalfari, direttore di Repubblica quando Pellicioli era responsabile della Manzoni, che curava anche il budget pubblicitario del quotidiano fondato da Scalfari. Due autentici fuoriclasse che, riportano le cronache, rappresentano gli unici “due amori professionali” del top manager, da cui apprende e per cui nutre ammirazione. "Ho imparato da tutti i miei capi e in tutte le mie esperienze, ma direi Francesco Paolo Mattioli in Fiat e Franco Tató in Mondadori", dirà nel 2017 al Corriere della Sera in una delle poche interviste concesse a proposito dei pezzi grossi del business da cui più ha tratto insegnamenti professionali. 

Dal '90 al 2001: dalla Costa Crociere alle fortune di borsa con la Seat, fino al sogno del terzo polo tv. La "seconda vita" da manager

Dopo l’arrivo a Segrate della Fininvest di Berlusconi, con cui il feeling non sboccia, finisce la “prima vita professionale" di Pellicioli che lascia così l’editoria e va alla Costa Crociere di Genova dove inizia a viaggiare e a fare le valigie. In quegli anni, oltre confine, cambierà due volte casa, al di qua e al di là dell’Atlantico: è prima presidente ed amministratore delegato di Costa Cruise Lines a Miami, controllata che opera sul mercato nordamericano (Usa, Canada, Messico) per le crociere nei Caraibi e in Alaska e poi di Compagnie Francaise de Croisières (Costa-Paquet), a Parigi, quindi, direttore generale worldwide del gruppo. Sette anni da vero globetrotter, dal 1990 al 1997, quando lascia la Costa subito dopo l’offerta della Carnival che vuole rilevare la compagnia di Genova, convinto che gli americani non vogliano certo trattenerlo.

Il capolavoro professionale, narrano sempre le cronache, arriva tra il 1997 e il 2001 quando Pellicioli riesce a costruirsi una ricchezza personale (quasi 86 milioni di euro) tale da rendere il lavoro un optional. Sono gli anni della Seat Pagine Gialle, società nella cui tolda di comando arriva a novembre del ’97 come amministratore delegato proposto da Gianfilippo Cuneo, che entra con la Bain Capital (16%) e altri investitori fra cui la Comit, la De Agostini e alcuni fondi tra gli azionisti della Otto, la holding che Telecom e i componenti della cordata hanno costituito per acquistare l’azienda delle Pagine Gialle, un patrimonio ricco ma tendente all’obsolescenza messo sul mercato dall’era delle privatizzazioni aggiusta-bilancio pubblico di asset dello Stato da parte di Romano Prodi.

Gli anni della finanza rapace in borsa

Seat diventa un caso di scuola nel nostro Paese, ma non solo, per i leveraged buyout (è il periodo della ribalta della razza padana di Colaninno&C), casi in cui i capitalisti si comprano le aziende utilizzando poco capitale e molti debiti e poi si ripagano con la liquidità prodotta dalla stessa azienda che comincia a distribuire dividendi attingendo anche dalle riserve. In solo nove mesi dalla privatizzazione, grazie alla posizione monopolistica di mercato di cui gode, Seat raddoppia la propria capitalizzazione, passando da 1,65 a tre miliardi di valore e mettendo in cantiere solo un piano di riduzione dei costi, senza alcun intervento sul fronte dello sviluppo o degli investimenti. Tanto la cassa è sicura e si alimenta da sola.

A proposito della febbre da new economy sui listini azionari, "ho sempre pensato che il compito di un amministratore delegato sia di essere trasparente sui propri piani e risultati, senza commentare mai il valore della sua azione in borsa. Il mercato ha diritto di essere folle o saggio, prudente o aggressivo. Sono soldi suoi", dirà qualche anno più tardi. Fine delle discussioni.

All'inizio del 2000, la fusione tra Seat e Tin.it, la società internet di Telecom Italia, (valorizzazione stimata tra i 70 e gli 80 mila miliardi delle vecchie lire) è l’occasione per manager ed azionisti di fare paccate, direbbe l'ex ministra Elsa Fornero, di soldi, poco prima che la bolla inizi a sgonfiarsi rovinosamente a partire dal marzo del 2001. Dall’Opa successiva che Pellicioli impone alla Telecom di Colaninno, che compra, arrivano le plusvalenze e le laute stock option per i manager (che hanno investito anche nelle azioni della propria società).

E' Bingo. Anche per gli azionisti che hanno seguito il fiuto di Pellicioli: il gruppo De Agostini, che cinque anni dopo lo chiamerà mettendolo a capo della holding per fare le proprie fortune, metterà in saccoccia una plusvalenza netta di 3.500 miliardi delle vecchie lire.

Alla tolda di comando di SeatTin.it, dove nel frattempo a monte della catena societaria di controllo è arrivato a marzo 2001 Marco Tronchetti Provera, finisce con il tentativo di creare attorno a Telemontecarlo, (nel frattempo diventata La7) e a Mtv (sotto Telecom Italia Media) il terzo polo tv osteggiato dall'allora Cavaliere di Arcore, la seconda vita professionale di Pellicioli: il top manager si prenderà una pausa fino fino al 2005, prima di approdare alla guida dell’impero De Agostini. Anni in cui dopo aver acquistato una vasta proprietà in Provenza, Pellicioli può permettersi il lusso di congedarsi dalla business community, dedicandosi a un'altra passione: la produzione di olio e di vino di qualità. La Francia gli regalerà quindici anni dopo anche la prestigiosa Legione d'Onore, la più alta decorazione della Repubblica transalpina, per “la sua azione a favore del patrimonio culturale" di Parigi. Amore ricambiato. 

(Segue: dal 2005, la "terza vita" da manager nell'impero De Agostini...)