Esteri
Attivista suicida in Iran, un gesto estremo per riaccendere i riflettori sul regime di Khamenei
Il gesto estremo di Kianoosh Sanjari contro il regime. Sabahi ad Affari: "In Iran arresti arbitrari, processi sommari, torture, condanne a morte, ed ora anche 'cliniche' per curare le donne che si oppongono al velo"
Attivista suicida in Iran, un gesto estremo per riaccendere i riflettori sul regime di Khamenei
L’attivista e giornalista iraniano Kianoosh Sanjari, noto per le sue denunce contro la repressione nella Repubblica Islamica, si è tolto la vita a Teheran dopo aver annunciato su X che avrebbe compiuto questo gesto estremo se quattro prigionieri politici da lui indicati non fossero stati liberati. Così non è stato ed il 42enne ha portato sino in fondo la propria decisione, come confermato da fonti iraniane. Una tragedia che riaccende i riflettori sulle continue violazioni dei diritti umani in Iran. Affaritaliani.it ne ha parlato con Farian Sabahi, Ricercatrice senior in Storia contemporanea, giornalista e scrittrice. Per comprendere il contesto dentro il quale è maturato questo atto disperato e l’impatto che potrebbe avere nella sensibilizzazione della comunità internazionale: "In Iran arresti arbitrari, processi sommari, torture, condanne a morte, ripercussioni anche sui famigliari dei dissidenti. La novità, terribile, di questi giorni, è la creazione di cliniche ad hoc per 'curare' le donne che si oppongono all’obbligo del velo". L'intervista.
Qual è il significato del gesto estremo di Kianoosh Sanjari nel contesto attuale della repressione politica in Iran? In che misura pensa che tale gesto possa scuotere la comunità internazionale e sensibilizzare ulteriormente sull’oppressione del regime di Khamenei?
Dopo mesi in cui il rumore delle guerre in Medio Oriente ha distolto l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale dalle violazioni dei diritti umani in Iran, il gesto di Sanjari è volto a far riaccendere i riflettori sui detenuti politici nella Repubblica islamica.
Molti attivisti, come Sanjari, hanno rischiato la loro vita per denunciare le violazioni dei diritti umani in Iran. Quali sono i principali strumenti e metodi usati dal regime per silenziare le voci dissidenti?
Gli strumenti sono molteplici: arresti arbitrari, processi sommari, torture, condanne a morte, ripercussioni anche sui famigliari dei dissidenti. Si tratta degli stessi strumenti, degli stessi metodi, utilizzati durante la monarchia, al tempo di Muhammad Reza Shah Pahlavi. Purtroppo, la Storia si è ripetuta. La novità, terribile, di questi giorni, è la creazione di cliniche ad hoc per “curare”, in Iran, le donne che si oppongono all’obbligo del velo.
Mahsa Amini e l’ondata di proteste che ha seguito la sua morte hanno segnato un momento cruciale per l’attivismo iraniano. Quanto ha influito questa tragedia sulla generazione più giovane e nel motivare le battaglie di attivisti come Sanjari?
In questi decenni la Repubblica islamica è stata attraversata da numerosi movimenti di protesta, talvolta per i diritti civili come nel caso del movimento verde del 2009 quando i brogli elettorali avevano permesso al presidente radicale Mahmoud Ahmadinejad di ottenere un secondo mandato, e talaltra per motivi economici come a metà novembre 2019 quando il governo Rohani aveva improvvisamente alzato il prezzo del carburante. A segnare maggiormente le nuove generazioni è stato il movimento Donna Vita Libertà scatenato dalla morte della ventiduenne iraniana, di etnia curda, Mahsa Amini, fermata dalla polizia morale all’uscita della metropolitana di Teheran il 13 settembre 2022 e morta tre giorni dopo.
Nella sua dichiarazione, Sanjari ha chiesto il rilascio di quattro attivisti. Perché, secondo lei, ha deciso di dare un ultimatum così specifico? Cosa ci dice questo riguardo al significato che dava alla solidarietà tra attivisti?
Gli attivisti rischiano spesso la pena di morte, perché accusati del reato di “corruzione sulla terra”. Chiedere il rilascio di quattro attivisti, tra cui un noto rapper, è stata una richiesta precisa, esplicita, che lascia intendere un nuovo corso del movimento di protesta: non ci si limita a togliersi il velo ma, trattandosi in questo caso di un attivista di sesso maschile, si va oltre, con una richiesta puntuale.
Qual è il significato del gesto della studentessa arrestata per essersi spogliata in segno di protesta contro l’hijab, e cosa ne è stato di lei?
Nella Repubblica islamica le donne che non indossano il velo rischiano multe pecuniarie e persino il carcere, ma per questa studentessa coraggiosa le conseguenze rischiano di essere ancora più pesanti: è stata infatti trasferita in ambulanza in un ospedale psichiatrico, circostanza confermata dall’ateneo secondo cui soffrirebbe “di un grave disagio psicologico, appena starà meglio potrà riprendere gli studi”. I media di Stato iraniani hanno diffuso un video in cui un uomo si presenta come il marito, da cui la giovane sarebbe separata. L’uomo sostiene che la ragazza sarebbe madre di due figli e soffrirebbe di problemi di salute mentale. Potrebbe però trattarsi di una tattica del regime per delegittimare le manifestanti etichettandole come mentalmente instabili, per minare la credibilità del movimento di protesta Donna Vita Libertà.