Esteri
Cina, Taiwan, Thailandia, Kirghizistan: pillole asiatiche extra large
La settimana della (geo)politica asiatica
"Il governo comunista della Cina di oggi non è la stessa cosa del popolo cinese". Fine ottobre 2019. Un anno fa, anche se sembrano essere trascorse diverse ere geologiche nel frattempo. In una tiepida Pechino di fine ottobre si tiene il quarto Plenum del 19esimo Comitato centrale del Partito comunista. Sempre a fine ottobre, il 30, Mike Pompeo parla allo Hudson Institute di Washington. Il segretario di Stato degli Stati Uniti pronuncia quella frase con cui si dà il via a una nuova fase di engagement, o meglio contenimento, o meglio ancora confronto, della strategia anti cinese della Casa Bianca. Quella stessa frase è stata pronunciata tante altre volte durante questi dodici folli, lenti eppur velocissimi, mesi. Ora, che si è giunti alla vigilia del quinto Plenum la contrapposizione tra Usa e Cina appare quasi irreversibile. Tutti, anche i più distratti, si sono accorti che il confronto non era una questione meramente commerciale.
Il Plenum, che si terrà dal 26 al 29 ottobre, varerà il nuovo piano quinquennale. Un piano che prevede il definitivo completamento della transizione da "fabbrica del mondo" a società di consumi, come racconta in modo più che esauriente Simone Pieranni, al cui articolo si rimanda per capire di più sul viaggio di Xi Jinping a sud, il suo discorso di Shenzhen e la "doppia circolazione". Autarchia è una delle parole d'ordine della strategia del Dragone, soprattutto dal punto di vista tecnologico, capitolo decisivo nella contesa. E' su quel terreno che si gioca la sfida, quantomeno con l'America trumpiana, molto più che non su questioni ideologiche, seppure queste ultime vengano sempre più spesso tirate in ballo per creare nuovi potenziali punti di tensione all'interno della Cina. E così si pungola Pechino prima su Hong Kong, poi su Xinjiang e Mar Cinese Meridionale, ovviamente su Taiwan, ora anche sul Tibet, come dimostra la creazione della figura di un coordinatore speciale per le questioni legate alla regione autonoma. Col rischio che quei dossier aperti con tanta decisione vengano poi ammainati in modo improvviso, per assurdo favorendo le azioni di Pechino che si sostiene di voler scongiurare. Come accaduto su Hong Kong e come si rischia potrebbe accadere su Taiwan.
Non è detto che si verifichi un vero e proprio decoupling, tantomeno uno completo, ma intanto Pechino si attrezza per affrontarlo. Per esempio col programma Vision 2035, un Made in China 2025 di seconda generazione che porta fino in fondo una traiettoria cominciata già da tempo con la presidenza Xi. Una traiettoria nella quale può ricoprire un ruolo importante proprio Shenzhen, almeno nei piani del PCC. Proprio in questa città, tra l'altro, è stato avviato un maxi test sullo yuan digitale.
Nel frattempo, come abbiamo già raccontato la scorsa settimana parlando del vicepresidente Wang Qishan, la sensazione è che Xi si stia assicurando una presa ancora maggiore sul partito.
Dal punto di vista diplomatico, Pechino ha conquistato un altro risultato inatteso, e che ha creato polemiche: l'ingresso nel consiglio delle Nazioni Unite sui diritti umani. Entra anche la Russia, resta fuori l'Arabia Saudita (che comunque non è esattamente l'esempio perfetto quando si parla di diritti umani). Si tratta comunque di un altro segnale del peso del Dragone all'interno delle organizzazioni internazionali.
TAIWAN
Dialogo impossibile e tensioni militari - Durante le celebrazioni della festa di Taiwan, la presidente Tsai Ing-wen ha pronunciato un discorso nel quale diversi osservatori hanno intravisto un "ramoscello d'ulivo" nei confronti di Pechino. Riferendosi al discorso alle Nazioni Unite in cui Xi Jinping sosteneva che la Cina non cercherà mai di essere una potenza egemone o la creazione di "sfere d'influenza", Tsai ha parlato di "primo passo", auspicando un cambio di approccio sul dialogo intrastretto da parte del PCC. Il problema è che il dialogo resta impossibile perché i presupposti di partenza sono inconciliabili. Il Democratic Progressive Party chiede una relazione tra "pari", dunque con il riconoscimento di un'alterità che Pechino non vuole riconoscere. Il PCC chiede infatti come precondizione l'accettazione del "consenso del 1992" e del principio della unica Cina. Consenso che Tsai ha sempre rigettato.
Nelle ultime settimane la tensione è evidente, svariate fonti più o meno attendibili sostengono che le possibilità di una guerra siano in netto aumento. L'ispezione di Xi ai marines che ha preceduto il suo discorso a Shenzhen sembra suffragare questa tesi, con l'invito ai soldati di "tenersi pronti" a combattere. C'è però da considerare il fondamentale aspetto retorico. Pechino non può permettersi di mostrarsi debole su Taiwan su tre fronti: quello interno, quello taiwanese e quello americano.
Negli ultimi mesi, infatti, gli Stati Uniti hanno portato Taipei sempre più sotto la luce dei riflettori e su svariati temi: il possibile accordo commerciale, le visite del sottosegretario di Stato e del segretario alla Salute (missioni diplomaticamente più alte degli ultimi 35 anni sull'isola), il ban all'export dei semiconduttori (settore nel quale la taiwanese Tsmc è leader mondiale), la nuova vendita di armi per sette miliardi di dollari. Riflettori sotto i quali Taipei sta scomoda, anche perché l'imprevedibilità di Trump rischia di creare danni permanenti a uno status quo che, in fin dei conti, non dispiaceva su nessuna delle due sponde dello Stretto.
La sensazione è che si resti ancora su una dimensione retorica, nella quale il PCC cerchi di mettere in difficoltà il DPP dall'esterno e il Guomindang (il partito nazionalista cinese all'opposizione a Formosa) provi a fare lo stesso su quello interno, come dimostra la (per certi versi paradossale) richiesta al governo di adoperarsi a stabilire relazioni diplomatiche ufficiali con Washington. Da una parte Pechino cerca di dire ai taiwanesi che Tsai non è in grado di tenerli al sicuro, dall'altra il Gmd prova a convincerli che non è abbastanza convinta ad andare fino in fondo col suo sganciamento diplomatico dalla Cina continentale.
Quello che aumenta è però il rischio di incidenti, con i sempre più frequenti test militari e incroci aerei. Per non parlare delle reciproche accuse di spionaggio, con un ex colonnello taiwanese condannato a quattro anni con l'accusa di aver condiviso segreti militari e la campagna del Global Times che sta dedicando grande spazio alla vicenda delle "centinaia di spie" taiwanesi. Nel frattempo, Taobao Taiwan chiude dopo che le autorità dell'isola avevano chiesto all'azienda di registrarsi come "cinese".
A Taipei non vedono probabilmente l'ora che si tengano le elezioni americane, per non rischiare davvero di diventare quella "sorpresa d'ottobre" che potrebbe esporre l'isola a forti rischi.
SUD EST ASIATICO E PACIFICO
Proteste in Thailandia - Continuano le proteste a Bangkok. Il governo thailandese ha dichiarato lo stato di emergenza vietando raduni di più di quattro persone e vietando i post online ritenuti una minaccia alla sicurezza nazionale, con l'obiettivo di porre fine alle proteste a favore della democrazia. L'ordine aveva lo scopo di soffocare le proteste "incostituzionali" ed è arrivato dopo che i manifestanti che chiedevano le dimissioni del primo ministro e si erano scontrati con i sostenitori del re. Ma le proteste proseguono, con la stretta del re Maha Vajiralongkorn di questi ultimi anni che sembrano aver provocato una frattura difficilmente sanabile. A essere messa in discussione è la stessa istituzione della monarchia e i manifestanti cantano apertamente slogan a favore dell'istituzione della repubblica. In piazza trovano posto anche le bandiere dei movimenti di Taiwan, Tibet e Hong Kong, andando a creare quella che è stata ribattezzata come Milk Tea Alliance. Per approfondire il tema delle proteste in Thailandia (in italiano) si può leggere Emanuele Giordana e seguire Francesco Radicioni, che sta raccontando in presa diretta quanto accade a Bangkok. Nel frattempo, il governo tedesco fa sapere al re thailandese che non può regnare da Berlino.
Riforma del lavoro in Indonesia (Mondo Asean) - Da settimane ormai in Indonesia imperversano le proteste contro la discussa “Legge Omnibus”, storica riforma del mercato del lavoro, fortemente voluta dal Presidente Joko Widodo. La legge, che giunge dopo anni di falliti tentativi di ristrutturazione normativa, modifica, in 905 pagine, 79 disposizioni legislative in materia di lavoro ed è stata approvata in Parlamento con il sostegno di sette partiti su nove. Ora i due contrari, quello dell’ex Presidente Yudhoyono e una formazione islamista, promettono battaglia, mentre la Confederation of All Indonesian Workers Unions (quasi 5 milioni di aderenti) vuole sottoporre il caso alla Corte costituzionale. La legge è una pietra miliare del processo di riforma che Jokowi ha in mente per rendere il Paese più reattivo ed efficiente sul piano produttivo e meglio competere con Malesia, Vietnam e Thailandia, da sempre obiettivo fondamentale del Presidente Widodo, e spesso preferite all’Indonesia dagli investitori internazionali.
Wang Yi e Suga in viaggio nel Sud-est - Sono settimane diplomaticamente dense sul fronte del Sud-est asiatico e dell'area Asean. Nei giorni scorsi si è svolta una visita del ministro degli Esteri cinese Wang Yi, mentre da domenica partirà il viaggio di quattro giorni del nuovo primo ministro giapponese Suga Yoshihide tra Vietnam e Indonesia. Wang ha invitato i paesi dell'Asean a non farsi "arruolare" dagli Usa e ha definito la strategia dell'Indo Pacifico un "rischio per la pace", a una settimana di distanza dal summit Quad di Tokyo tra Usa, Giappone, India e Australia.
La visita di Wang ha prodotto alcuni risultati concreti: un accordo di libero scambio con la Cambogia, il paese Asean più vicino a Pechino anche a causa delle sanzioni Ue, promesse di cooperazione con la Malaysia, anche se Kuala Lumpur ha bloccato sei navi cinesi nelle sue acque, e il riavvio delle esplorazioni congiunte di petrolio con le Filippine, nonostante le dispute territoriali. Per restare alle Filippine, il partito comunista locale, dichiarato fuorilegge da Manila, ha ordinato al suo braccio armato di colpire compagnie e obiettivi cinesi coinvolti in progetti infrastrutturali.
Nel suo viaggio in Vietnam e Indonesia, Suga si dovrebbe concentrare soprattutto su temi legati alla sicurezza. Ma il Giappone ha una strategia ben precisa sull'Asean, come abbiamo scritto una decina di giorni fa.
Australia, il caso del premier del Nuovo Galles del Sud - Gladys Berejiklian, premier del Nuovo Galles del Sud, stato più popoloso dell'Australia, ha ammesso durante un'inchiesta anti corruzione di aver avuto una "stretta relazione personale" segreta con un politico indagato per aver monetizzato la sua posizione attraverso rapporti d'affari con la Cina. Berejiklian ha detto di aver "commesso un errore" nella vita personale con una relazione che non ha rivelato alla sua famiglia, ma che avrebbe continuato a servire come premier perché "non ho fatto nulla di sbagliato" .
ASIA ORIENTALE
Giappone: test militari e China Exit ma niente decoupling - Le forze di autodifesa marittima giapponesi hanno condotto esercitazioni anti-sottomarino nel Mar Cinese Meridionale, inviando tre navi da guerra, tra cui una portaerei per elicotteri, e un sottomarino. Scopo dell'esercitazione è "aumentare la capacità tattica della marina", ha spiegato il governo nipponico, sempre più attivo nell'area del Mar Cinese Meridionale. Il tutto mentre le tensioni con la Cina sulle isole Senkaku non sembrano risolversi e si opera una stretta anti spionaggio sugli studenti cinesi.
Passi ulteriori sono stati fatti anche sul programma China Exit, per incoraggiare le imprese a tornare in Giappone oppure a spostare linee di produzione nel Sud-est asiatico. Il governo coprirà fino alla metà del costo di tali investimenti all'interno dell'Associazione delle nazioni del sud-est asiatico per le grandi aziende e fino a due terzi per le piccole imprese. L'obiettivo è quello di diversificare le catene di approvvigionamento che sono troppo dipendenti dalla Cina, non quello di cercare un decoupling. Anche perché le due economie sono interconnesse in modo molto profondo. Un esempio che può sembrare banale? Uniqlo ha più store in Cina che in Giappone.
Niente trilaterale dell'Estremo Oriente? - Intanto la disputa storica tra Giappone e Corea del sud continua a condizionare la diplomazia regionale anche nel presente. Tokyo potrebbe non partecipare all'annuale riunione trilaterale dei leader di Seul e Pechino, proprio in riferimento alle pretese coreane sul risarcimento per il lavoro forzato in tempo di guerra, hanno detto martedì i media giapponesi.
Il supermissile di Kim - La parata della scorsa settimana per il 75esimo anniversario del Partito dei lavoratori nordcoreano sta creando qualche preoccupazione a sud della zona demilitarizzata A preoccupare il nuovo missile balistico a lungo raggio messo in mostra da Pyongyang alla parata, durante la quale Kim Jong-un è scoppiato a piangere affermando di "vergognarsi" per "non essere stato in grado di ripagare l'enorme fiducia" che i cittadini hanno riposto in lui. Un raro momento di debolezza dopo un anno di grande pressione, nelle quali si sono rincorse più volti le voci sulle sue condizioni di salute.
Seul tra Usa e Cina, il caso BTS - Interessante, a dir poco, la dichiarazione dell'ambasciatore sudcoreano negli Stati Uniti. Lee Soo-hyuk ha detto che se la Repubblica di Corea ha scelto gli Usa 70 anni fa non significa obbligatoriamente che farà lo stesso per i prossimi 70 anni. Per far sì che il "sodalizio" continui, deve verificarsi la precondizione di interesse nazionale. Un messaggio chiaro, che arriva dopo anni nei quali l'amministrazione Trump ha portato incertezza e la diplomazia bilaterale si è inceppata più volte sul tema delle spese difensive.
Le richieste americane di unirsi alla campagna di sicurezza anti cinese sono pressanti, ma Seul non sembra intenzionata a scoprirsi contro Pechino, anche se i suoi cittadini sono sempre più scettici sul Dragone. Soprattutto i più giovani, moltissimi dei quali sono fan della boy band BTS, finita nel mirino degli internauti cinesi. A proposito di Corea, ho intervistato l'ambasciatore italiano a Seul, Federico Failla.
CINA/SUBCONTINENTE INDIANO
Dialogo con l'India - Parziali passi avanti nel tentativo di smorzare le tensioni lungo l'enorme confine conteso tra Cina e India (di cui avevamo parlato qui). Il portavoce del ministero della Difesa cinese, il colonnello maggiore Ren Guoqiang, ha annunciato che il settimo round della riunione dei comandanti senior di India e Cina è stato positivo, costruttivo e ha migliorato la comprensione di entrambe le parti. Non esiste però ancora un calendario esatto per il disimpegno lungo la linea di controllo ma sembra che, almeno a livello operativo, sia stato fatto qualche passo avanti in una relazione che resta comunque complicata.
Il Pakistan blocca TikTok, le Maldive ci ripensano sull'accordo commerciale? - Altre due possibili battute d'arresto per la Cina dal subcontinente indiano. L’ente regolatore delle telecomunicazioni del Pakistan ha deciso di vietare l’utilizzo di TikTok, motivando la scelta con l’incapacità della società nel rimuovere video ritenuti “immorali” e indecenti”. L'app ha circa 43 milioni di utenti in Pakistan. E nel frattempo qualcosa sembra muoversi alle Maldive, tradizionalmente nella sfera di influenza indiana ma di recente molto vicine a Pechino. Dopo il nuovo accordo difensivo con gli Usa, questa volta promosso da Nuova Delhi a differenza degli anni passati, l'arcipelago starebbe valutando la possibilità di rivedere l'accordo di libero scambio firmato con Pechino nel 2017 durante la presidenza Yameen.
Sri Lanka, nuovo aiuto cinese per evitare il default - Chi invece mantiene rapporti strettissimi con Pechino è lo Sri Lanka, ancora di più dopo la vittoria della famiglia Rajapaksa alle recenti elezioni legislative. Il paese è in gravi difficoltà finanziarie, con un debito estero di oltre 15 miliardi di dollari, e pare destinato a ricevere ancora una volta un aiuto finanziario dalla Cina. Il governo dello Sri Lanka ha spiegato di essere in contatto con la China Development Bank per aumentare di 700 milioni il già previsto prestito di 1,2 miliardi di dollari. Colombo è già molto esposta nei confronti di Pechino, come dimostra il celebre caso del porto di Hambantota ceduto in concessione per 99 anni.
Una statua raffigurante Gengis Khan
CINA/EUROPA
La mostra su Gengis Khan a Nantes (da China Files) - Il museo di storia ospitato nel Castello dei duchi di Bretagna, nella città francese di Nantes, ha sospeso una mostra sul fondatore dell'impero mongolo Gengis Khan a causa delle pressioni esercitate dal governo cinese “per una riscrittura parziale della cultura mongola a favore di una nuova narrativa nazionale”. Secondo il direttore del complesso museale, l’esposizione sarà posticipata di almeno tre anni “in nome dei valori umani, scientifici ed etici che difendiamo”. Tra le richieste ad aver reso necessario un cambio di programma quella di rimuovere dalla mostra alcune parole, tra cui “Gengis Khan”, “Impero” e “Mongolo” nonché di poter mettere mano ad opuscoli, leggende e mappe. L’evento, organizzato in partnership con il Museo della Mongolia Interna a Hohhot, segue di poco una controversa riforma dei programmi scolastici della regione autonoma che prevede un ridimensionamento del mongolo come lingua d’insegnamento. Decisione accolta dalla popolazione con le proteste più massicce degli ultimi anni.
CINA/AFRICA
Concessioni sul debito per 11 paesi africani (China Files)- La Exim Bank, uno dei principali creditori della Belt and Road, ha accettato di alleggerire il debito contratto da 11 paesi africani. Pechino rinuncerà anche ai prestiti senza interessi in scadenza per la fine del 2020 contratti da 15 paesi del continente. L’annuncio è giunto in concomitanza all’estensione per altri sei mesi della Debt Service Suspension Initiative (DSSI), il programma lanciato dai paesi del G20 per sospendere i pagamenti dei debiti e alleggerire i paesi più poveri, già vessati dalla pandemia. Confermando la propria adesione, lo scorso giugno il gigante asiatico ha accettato per la prima volta di avviare negoziati su base multilaterale, salvo poi annunciare la mancata partecipazione della China Development Bank, controllata dal Consiglio di Stato e coinvolta nel finanziamento di grandi progetti infrastrutturali. Colloqui bilaterali per un’eventuale ristrutturazione del debito sono già in corso con Zambia, Angola, Etiopia, Repubblica del Congo, Gibuti, Mozambico e Kenya.
Ferrovia in Egitto - Un consorzio egiziano-cinese ha vinto la gara per costruire un progetto ferroviario ad alta velocità tra Ain Sokhna e al-Alamein, che copre 543 chilometri di distanza con convogli a una velocità di 250 chilometri per un costo di nove miliardi di dollari. La ferrovia attraverserà anche le città di Burj al-Arab e Alessandria.
ASIA CENTRALE
Kirghizistan: fuori Jeenbekov, dentro Japarov? - Alla fine ha ceduto. Dopo dieci giorni di proteste e caos post elettorale, il presidente del Kirghizistan Sooronbay Jeenbekov si è dimesso. Sembrava che le fratture all'interno dell'opposizione e il nuovo arresto dell'ex presidente Atambayev (che era stato liberato dalla folla) potessero portare qualche vantaggio a Jeenbekov, che aveva dichiarato per la seconda volta lo stato d'emergenza, che il parlamento kirghiso non era riuscito ad approvare. Poi però è emersa la figura di Sadyr Japarov, altro leader politico liberato dal carcere e nominato primo ministro dopo pochi giorni. "Non resto aggrappato al potere, non voglio entrare nella storia del Kirghizistan come un presidente che ha versato sangue e ha sparato sui suoi stessi cittadini", ha detto Jeenbekov, terzo presidente a passare la mano a Biskek dopo una rivolta popolare. Ora lo stesso Japarov potrebbe puntare alla presidenza.
Tagikistan: continua il regno di Rahmon - Dopo il caos kirghiso e le proteste in Bielorussia si riteneva che in questo "autunno post sovietico" potesse finire coinvolto anche il Tagikistan. Questo perché domenica 11 ottobre si votava per le elezioni presidenziali. Per ora non sembra così. Alle urne ha vinto (ne ho scritto qui) - e non poteva che essere così visto che i rivali non erano veri oppositori - Emomalī Rahmon, al potere dal 1992. Rispetto al Kirghizistan, il Tagikistan è meno frammentato a livello etnico e religioso, e Rahmon riesce ancora a proporsi come l'unico in grado di garantire stabilità in un paese che ricorda ancora i tragici anni della guerra civile dopo l'indipendenza.
Partnership Cina-Uzbekistan - Nel frattempo, si intensificano le relazioni tra Pechino e Tashkent. L'Istituto per lo sviluppo del turismo dell'Uzbekistan ha annunciato l'attuazione di un progetto di ricerca intergovernativo congiunto uzbeko-cinese finanziato dalla Cina volto a esplorare i modi in cui il turismo potrebbe ridurre la povertà nel paese dell'Asia centrale. Interessante notare come l'Uzbekistan entri per la seconda volta in pochi mesi in progetti attuativi collegati anche nominalmente agli obiettivi del Dragone. La riduzione della povertà è un obiettivo storico per la Cina, che nel 2021 dovrebbe diventare ufficialmente una società "moderatamente prospera" con l'eliminazione della povertà assoluta. Qualche mese fa era stato invece inaugurato un centro per la medicina tradizionale sempre in Uzbekistan.