Esteri

Guerra Israele, eccidio o sterminio? No, a Gaza è in corso un massacro sistematico dell'umanità

di M. Alessandra Filippi

Organizzazioni mediche denunciano l’uccisione sistematica della popolazione e l’ONU accusa Israele di aver negato il 90% delle degli aiuti al Nord di Gaza

Gaza: un futuro incerto

La tragedia che da 421 giorni sta attraversando Gaza non può essere ridotta al termine “eccidio”. Ancora meno a sterminio. È un massacro sistematico che annienta ogni traccia di umanità, con centinaia di innocenti che perdono la vita ogni giorno, nell’indifferenza internazionale. Le parole che ci impediscono di usare, pena l’accusa di “antisemitismo”, devono restare libere, così come libero deve restare lo spirito che ci spinge a non dimenticare, a non lasciar cadere nel silenzio l’atrocità di quanto sta accadendo.

Il concetto di genocidio

La parola "genocidio" nasce nel cuore del secondo conflitto mondiale e viene coniata nel 1944 dall’avvocato polacco di origine ebraica Raphael Lemkin, scampato per miracolo alle persecuzioni naziste. La sua definizione, che intendeva coprire ogni forma di distruzione di gruppi etnici, culturali e sociali, è oggi il riferimento per definire atti di sterminio sistematico. Non appartiene a nessuno: né agli oppressi, né agli oppressori, spetta ai tribunali stabilire se quanto accade oggi a Gaza rientra in questa definizione.

Quel che vale oggi è sapere che sebbene la Convenzione sul Genocidio sia stata applicata in casi come il genocidio in Ruanda, la sua realizzazione rimane inadeguata in molte circostanze, compresa quella di Gaza.

Israele e la narrativa della Legittima difesa

Nel contesto di questa tragedia, non possiamo ignorare la disinformazione che circola a livello globale. Il racconto che Israele propone attraverso i suoi media, sostenuto anche da alleati come gli Stati Uniti, dipinge il conflitto come una guerra di legittima difesa, riducendo la portata dei crimini contro l’umanità a “danni collaterali”.

Molti commentatori israeliani continuano a ripetere che metà delle vittime sono terroristi, e l’altra metà sono colpevoli. Affermazioni che non tengono conto della realtà sul terreno e delle testimonianze dei civili. Questo discorso propagandistico non fa che alimentare un circolo vizioso che rende ancora più difficile il raggiungimento di una tregua, per non parlare della pace.

Panem et circenses

Come ai tempi del "circo" romano, oggi il mainstream offre al popolo narrazioni filtrate che distolgono l'attenzione dall'evidenza: Gaza è diventata una gabbia di morte. Gli strumenti mediatici, tramite informazioni parziali o distorte, legittimano la violenza e la sofferenza. Potenze internazionali, in particolare gli Stati Uniti e alcune nazioni europee, con la loro retorica politica non solo enfatizzano un lato del conflitto, ma spesso rafforzano le ingiustizie perpetrate, trascurando o minimizzando le violazioni dei diritti umani. Una lettura più critica dei mezzi di comunicazione e degli attori internazionali è necessaria per comprendere la portata del “grande gioco” mediatico che accompagna la guerra.

La negazione degli aiuti e la morte quotidiana

Nel frattempo, le denunce di negazione degli aiuti umanitari da parte di Israele sono sempre più frequenti. L’UNRWA ha segnalato che tra l'inizio di ottobre e il 25 novembre Israele negato 82 dei 91 tentativi di aiuti vitali destinati a Gaza settentrionale, condannando migliaia di persone a morire per fame e malattia.

La situazione si aggrava ogni giorno: in un’area assediata da più di 50 giorni, dove la popolazione vive in condizioni di estrema privazione, ogni giorno muoiono bambini, donne, anziani, innocenti travolti dalla furia militare israeliana. Due giorni fa, il giornalista Hani Mahmoud di Al Jazeera, in un servizio da Deir el-Balah, ha dichiarato che "Le condizioni di sopravvivenza per le 65.000-75.000 persone che si stima siano intrappolate lì stanno diminuendo ogni giorno". Con buona probabilità sono destinati a morte certa. Così come previsto nel “Piano dei generali”.

Il silenzio internazionale

Il silenzio internazionale sulla condanna di queste atrocità è assordante. Le Nazioni Unite, pur denunciando la morte di decine di migliaia di civili, non riescono a porre in atto alcuna azione concreta per fermare questa strage. L’impossibilità di intervenire in modo efficace è il frutto di un sistema internazionale che sembra impotente di fronte ai crimini di uno Stato che, fortemente supportato dalla comunità occidentale, continua la sua escalation.

Un ulteriore elemento che sottolinea la complicità della diplomazia globale nella tragedia di Gaza è la posizione degli Stati Uniti, che hanno posto ben quattro veti alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, tutte volte a imporre un cessate il fuoco. Questi veti non solo impediscono ogni azione concreta per fermare il massacro, ma sanciscono la paralisi del sistema internazionale e l'incapacità di affrontare le violazioni dei diritti umani, rendendo gli Stati Uniti un attore decisivo nell'allungare la sofferenza della popolazione palestinese.

Il "piano definitivo" di Netanyahu

Nel contesto di questo massacro, l’idea di un “piano definitivo” per Gaza sta prendendo forma. Le dichiarazioni di Netanyahu e i suoi alleati politici confermano l’intenzione di risolvere una volta per tutte la questione palestinese con la violenza, l’annientamento fisico e la privazione dei diritti fondamentali.

Quello che avviene a Gaza è solo un episodio di un progetto geopolitico molto più ampio, che mira a ridisegnare la mappa del Medio Oriente attraverso la logica della violenza e della sottomissione. (vedi articolo 23 ottobre 2024 https://www.affaritaliani.it/esteri/guerra-in-medio-oriente-espulsione-insediamento-annessione-ecco-il-piano-di-israele-per-annientare-gaza-941517.html

La questione dei mandati di arresto

A tutto questo si aggiungono le recenti richieste di mandati di arresto per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex ministro della difesa Yoav Gallant da parte della Corte Penale Internazionale (CPI), per crimini di guerra e crimini contro l’umanità legati agli attacchi a Gaza. La reazione della comunità internazionale è stata variegata: mentre l’Irlanda, l’Olanda, la Spagna hanno dichiarato di voler rispettare eventuali mandati, altri paesi come la Francia, l’Argentina e l’Ungheria hanno espresso riserve. Questo riflette la continua divisione e l’inerzia della diplomazia globale, incapace di mettere in atto misure concrete per fermare l’orrore.

Un futuro incerto

Gaza, e con lei Cisgiordania e Gerusalemme Est, travolte da un altrettanto tragico destino, resta una ferita aperta che nessuno può permettersi di ignorare. Ogni giorno che passa è un passo verso un futuro più oscuro, in cui la possibilità di una tregua, della possibilità di costruire un percorso di libertà e pace, è sempre più lontana.

La comunità internazionale deve svegliarsi dalla sua indifferenza e agire concretamente, non solo a parole, per fermare questa tragedia e assicurare che i responsabili di crimini di guerra siano chiamati a rispondere delle loro azioni. Se non lo farà, rischia di rendersi complice di un genocidio che, in quanto tale, non ha scuse e per il quale verrà giudicata, dai tribunali, dalla storia, dall’umanità.