Esteri

Israele, attacco a Tel Aviv. Violenza in Medio Oriente: che cosa c'è dietro

L'opinione di M. Alessandra Filippi

Questo è il quarto attacco mortale in poco più di due settimane dopo quelli di Beer Sheba, Hadera e Bnei Brak

Israele: nuovo attacco verso civili inermi, questa volta nel centro pulsante di Tel Aviv. L'analisi 

Ieri sera, intorno alle 20:00, un uomo ha aperto il fuoco nella centralissima e frequentata Dizengoff Street, prendendo di mira i clienti seduti nello spazio esterno dell'Ilka bar, sempre molto frequentato di venerdì sera, vigilia dello Shabbat, il week end ebraico. Due giovani ventenni sono romasti uccisi: Tomer Morad, che lavorava all’Ilka bar (28 anni), e Eitam Megini (27 anni), entrambi di Kfar Saba. Altre quattro persone, operate d’urgenza, stanno combattendo fra la vita e la morte, mentre 6 sono rimaste gravemente ferite. Da quanto riportato dalle fonti ufficiali israeliane, anche questa volta si tratta dell’azione di un “lupo solitaro” che ha agito senza il supporto diretto di un gruppo terroristico.

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Nel quartier generale dell’esercito israeliano di Tel Aviv, il primo ministro Naftali Bennett ha tenuto un incontro di sicurezza con alti funzionari tra cui il ministro della Difesa Benny Gantz e il capo di Stato Maggiore dell'IDF Aviv Kochavi. Immediata è stata la reazione: più di 1000 agenti dell'unità antiterrorismo della Polizia, soldati delle unità Sayeret Matkal e Shaldag dell'IDF, affiancati da agenti dello Shin Bet, hanno setacciato la città alla ricerca dell’attentatore, perquisendo edifici, appartamenti, vicoli e scantinati. L’uomo è stato scovato e ucciso all’alba, vicino alla Moschea di Jaffa. Si tratta di Ra'ad Fathi Hazem, 28 anni, a capo del campo profughi di Jenin.

Questo è il quarto attacco mortale in poco più di due settimane dopo quelli di Beer Sheba, Hadera e Bnei Brak, e porta il triste bilancio delle vittime da 11 a 13. Arriva nel bel mezzo di una crisi di governo scatenata da Idit Silman, membro del partito Yamina di Bennett, che due giorni fa ha lasciato la coalizione, privandola della sua risicata maggioranza parlamentare e aprendo di fatto la strada verso una nuova crisi di governo. E si consuma nel mese sacro del Ramadan, iniziato lo scorso 2 aprile, nel corso del quale, oltre al digiuno, alle preghiere in moschea, fra le tante regole da rispettare prevedrebbe anche quella di non fare la guerra.

Le ragioni di questa escalation di violenza sono tante e vanno senz’altro ricercate nell’ormai conclamata incapacità di entrambe le parti a riscrivere seriamente il copione e trovare un punto di accordo e di equilibrio duraturo in grado di far coesistere e co-abitare civilmente, prima ancora che pacificamente, israeliani e palestinesi, ebrei e musulmani. Tuttavia, la miccia che può aver riacceso queste polveri, sebbene a scoppio ritardato, potrebbe essere lo storico incontro che si è tenuto il 30 agosto 2021 a Ramallah fra Benny Gantz e Abu Mazen.

Da 10 anni non capitava che un esponente del governo israeliano incontrasse il capo dell’Autorità nazionale palestinese (Anp). In quell’occasione i due hanno concordato la concessione dei diritti di residenza a centinaia di persone che vivono in Cisgiordania senza status legale, oltre ad aver raggiunto significative intese per rafforzare la drammatica economia dell’Anp.

L’incontro, oltre a riavviare il dialogo congelato da tempo, aveva come obiettivo quello di rafforzare la traballante autorità di Abu Mazen rispetto ad Hamas. Che infatti, congiuntamente alla Jihad islamica e a Gaza, ha subito condannato il faccia a faccia di Abu Mazen col ministro israeliano definendolo “un passo pericoloso”, la prova che «l’Anp è più interessata a mantenere il coordinamento di sicurezza con Israele che a sostenere gli interessi della causa nazionale».

Non è un caso se subito dopo l’attacco di ieri sera, la Jihad islamica e Hamas l’ha elogiato, pur non rivendicandone la responsabilità, affermando che «è stata una risposta naturale all'escalation israeliana contro il popolo palestinese e ai danni arrecati ai luoghi santi, in particolare alla moschea di Al Aqsa».

Compatta e unanime invece la condanna da parte del mondo palestinese rappresentato dal presidente Abu Mazen - il quale ha ripetutamente esortato a non continuare le ripetute incursioni nella moschea di Al-Aqsa e le azioni provocatorie di gruppi di coloni estremisti - , e di quello arabo-israeliano, con in testa i due rappresentanti arabi presenti nel governo Bennett: Esawi Frej, Ministro per gli affari regionali e Mansour Abbas, Vice Speaker della Knesset e leader del partito islamico Raam.

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