Esteri

Leader mondiale produzione droni cinesi: stop a vendite in Russia e Ucraina

di Antonio Amorosi

Tra Russia e Ucraina, la strategia dei cinesi: tenersi fuori dal conflitto facendo mancare le tecnologie. I mercati USA, d'Europa e Cina condizionano la guerra

Il colosso cinese DJI, produttore dei droni, sospende l'attività in Russia e Ucraina. Altre società cinesi potrebbero seguire l’esempio


Anche i cinesi si sono “rotti” della guerra nella periferia d’Europa. Il più grande produttore di droni al mondo, la DJI Technology Co, ha dichiarato che sospenderà temporaneamente le vendite in Russia e Ucraina, per garantire che i suoi prodotti non vengano utilizzati in combattimento nella guerra attuale. 

L'esercito ucraino ha utilizzato ampiamente i droni DJI per la ricognizione durante il conflitto. Le immagini e i filmati del campo di battaglia suggeriscono che anche i russi lo abbiano fatto. Di fatto DJI fornisce droni che vengono poi utilizzati sia dagli ucraini che dai russi. 

La società con sede a Shenzhen, nel Guangdong, e con altre dislocate in ogni angolo del mondo è leader mondiale del settore, copre il 70% del mercato mondiale dei droni. Le sue tecnologie utilizzate a livello globale dall'industria cinematografica, televisiva e musicale sono state anche usate in tantissimi altri settori tra cui l’ordine pubblico e quello militare.

Nel 2016 anche l’ISIS ha utilizzato i droni DJI. Persino le forze militari USA, almeno fino al 2017, quando l’esercito USA ha emesso una disposizione interna che ne vietava l’utilizzo per motivi di sicurezza nazionale. Divieto non valido per l’Aereonautica USA che ancora nel 2019 e 2020 ha acquistato prodotti DJI per le proprie forze speciali, avendo particolari esenzioni concesse dal Pentagono, ma destando, come spiega The Wall Street Journal, preoccupazioni sul possibile furto di dati sensibili. 

DJI è anche sotto sanzioni statunitensi, dopo che Washington ha accusato l'azienda di esporre la sicurezza nazionale a rischi e di fornire droni utilizzati per monitorare le minoranze etniche uiguri nella regione cinese dello Xinjiang.

Mercoledì scorso DJI ha dichiarato che avrebbe sospeso le sue attività in Ucraina e Russia mentre "rivalutava internamente i requisiti di conformità in varie giurisdizioni".

DJI ha ribadito che i suoi prodotti sono destinati a un uso puramente civile, affermando che i i partner dell’azienda accettano di non vendere i prodotti DJI a "clienti che pianificano chiaramente di usarli per scopi militari o aiutano a modificare i nostri prodotti per uso militare". Un mese fa la società cinese era stata accusata di aver rivelato, nella guerra in Ucraina, dati di uno dei due contendenti all'avversario.

Ma DJI si è dichiarata totalmente estranea ai fatti, facendo intendere che non sono a conoscenza di che uso gli acquirenti facciano dei droni acquistati. "Non accetteremo mai alcun uso dei nostri prodotti per causare danni e continueremo a sforzarci di migliorare il mondo con il nostro lavoro", ha ribadito la società in una nota.

Charles Rollet, analista del gruppo statunitense IPVM che si occupa di ricerca nel settore della sicurezza e della sorveglianza, ha affermato ad Al Jazeera che la mossa di DJI riflette probabilmente la pressione che i consumatori stanno facendo sull’azienda. La società, per quanto legata allo Stato Cinese è “incredibilmente preoccupata di essere percepita come un agente di Pechino".

Anche perché le società cinesi hanno il problema di dovere tenere i piedi in più staffe: riprendere la produzione dopo la crisi del Covid, essere amici dei russi con i quali c’è un'alleanza tra i leader Putin e Xi Jinping ma al tempo stesso non confliggere con i desiderata dei consumatori europei e americani.

Continuano ad operare in Russia e per questo ricevono critiche internazionali, ma non sono in condizioni di ritirarsi perché rischierebbero un contraccolpo da parte dell'opinione pubblica cinese, sia perché più vicina alle ragioni dei russi sia per i problemi economici che ne risulterebbero, data la crisi economica post Covid.
Il conflitto in Ucraina ha messo in grande difficoltà le aziende nel Paese di Xi Jinping. 

"Penso che altre aziende potrebbero seguire e probabilmente utilizzeranno questo modello”, ha spiegato Rollet, “invece di condannare l'invasione e ritirarsi solo dalla Russia, probabilmente condanneranno le ‘ostilità’ in modo generico nonostante la Russia sia il chiaro aggressore e si ritirerà da entrambi i mercati". 
Ma la scelta dell’azienda cinese potrebbe allargarsi ad altre società cinesi, preoccupate per le eventuali ripercussioni commerciali.

In più la decisione di DJI di sospendere l'attività in Russia potrebbe riflettere le preoccupazioni di possibili sanzioni secondarie che potrebbero arrivare con il protrarsi della guerra. Le sanzioni potrebbero ricadere su alcune tecnologie e il loro impiego, come i semiconduttori provenienti da Corea del Sud o Taiwan, o sulle transazioni effettuate in dollari USA per acquisire i droni.

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