Esteri
Rafah apre il vaso di Pandora israeliano. Ma l'Occidente inizia a reagire
L’ONU ha convocato d’urgenza il Consiglio di Sicurezza e l’Europa convoca la riunione per discutere l’accordo commerciale Ue-Israele
Rafah apre il vaso di Pandora israeliano. Ma l'Occidente sta iniziando a reagire, ecco come
Con i tizzoni della tendopoli di Rafah ancora ardenti, rispondendo all’ondata di indignazione e sconcerto del mondo, le Forze di difesa israeliane si sono “rammaricate per qualsiasi danno subito dai civili durante la guerra”. Una toppa peggiore della voragine scavata dal rogo che loro stessi hanno provocato, e nel quale sono arsi vivi come torce almeno 45 mamme e bambini, e rimasti feriti altri 250 innocenti, destinati quasi tutti a morte certa vista l’assenza di strutture ospedaliere. Assenza causata da un altro scempio senza senso perpetrato da Israele: la distruzione sistematica e metodica di tutti gli ospedali della Striscia, classificati “dall’alto” come covi di terroristi. A rincarare il danno e a fugar qualunque dubbio circa il fatto che il Primo Ministro israeliano menta a tempo indeterminato, sostenuto dal tifo da stadio dei suoi messianici e criminali ministri ultraortodossi che ieri hanno anche brindato “al barbecue”, è arrivata la sua dichiarazione “È stato un tragico incidente. Mi dispiace”. Ci mancava solo aggiungesse “È la guerra, signori!” e la fotocopia con quella fatta dopo l’assassinio dei 7 cooperanti del World Central Kitchen sarebbe stata perfetta.
È sempre più evidente che ci troviamo di fronte a un caso di psicopatia collettiva che ha travolto un’intera nazione trasformandola in una delle democrazie più autoritarie, sanguinarie e razziste del pianeta. Una follia che ha trascinato l’Occidente in una deriva disumana senza precedenti nella storia moderna: perché con il rogo degli innocenti, domenica Israele ha fatto un falò, infischiandosene, di tutti i diritti umani per conquistare i quali noi occidentali abbiamo speso secoli di lotte.
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C’è da dire che il vaso di Pandora è scoperchiato. L’immagine di Israele è completamente distrutta. Agli occhi del mondo, e non solo più degli studenti universitari del Pianeta, sono dei mostri, uno stato canaglia in pieno delirio sanguinario che pagherà l’orrore seminato in termini politici, legali ed economici; una stigma che si porteranno sulle spalle le future generazioni israeliane. Perfino stati solidali come la Germania e la Francia si sono visti costretti a prendere le distanze per non venire coinvolti. E in Italia ieri Crosetto ha detto “Israele doveva fermarsi, non ci ha ascoltato. Così sta seminando odio che si ripercuoterà sui figli”. L’unico sepolcro imbiancato che balbetta ancora a favore di Israele è Biden che, coinvolto come è, fatica a prendere le distanze.
Anche se lenta, la reazione del mondo sta prendendo forma. Oggi Irlanda Norvegia e Spagna hanno sancito ufficialmente il loro riconoscimento della Palestina. Il Primo Ministro spagnolo Sanchez ha definito la scelta “storica” e ha chiarito che ha come obiettivo quello di contribuire a far si che “israeliani e palestinesi raggiungano la pace”. Ha inoltre precisato che “non riconoscerà cambi sulle linee di frontiera del 1967 che non siano concordate fra le parti”. L’Irlanda ha anche annunciato che a breve aprirà a Ramallah la sua ambasciata. Un gesto al momento più dal valore simbolico che dagli effettivi risvolti pratici, dal momento che sia Gaza che la Cisgiordania sono entrambe spietatamente occupate da Israele.
In Cisgiordania, soprattutto in questi ultimi mesi, il Governo israeliano ha minato ulteriormente la possibilità di esistenza dello Stato palestinese. Ogni giorno le ruspe avanzano distruggendo villaggi e campi, e i coloni ebrei, a mano armata, ormai senza ritegno terrorizzano e uccidono gli abitanti palestinesi costringendoli ad abbandonare la loro terra al grido “È la nostra casa”. L’aliyah, il ritorno degli ebrei da Europa e Usa nella “Terra Promessa”, negli ultimi tempi è cresciuta del 142%. Arrivano a migliaia, ogni mese, e hanno bisogno di case. È così che crescono gli insediamenti illegali Cisgiordania. Prima sono solo avamposti con tende. Poi diventano compound di container sui quali sorgono in ultimo le colonie. Dall'inizio della controffensiva a Gaza ne sono state costruite 14. La scorsa settimana la Knesset ne ha legalizzate due. E quando chiedi ai coloni dove debbano andare i nativi loro ti rispondono “I palestinesi? Vadano nei Paesi arabi”.
Per venire alle azioni concrete che i paesi occidentali hanno in serbo per costringere Israele ad osservare le sentenze della Corte di Giustizia Internazionale, oggi alle 15.30 ora di New York, le 21.30 italiane, si terrà una riunione a porte chiuse del Consiglio di Sicurezza Onu, chiesta dall’Algeria, per discutere gli ultimi raid israeliani sulla città di Rafah.
Un primo segnale forte arriva anche dall’Europa che su pressione di Irlanda e Spagna, e grazie all’intesa trovata tra i ministri degli Esteri di tutti i Paesi membri, ha convocato la riunione per discutere l’accordo commerciale Ue-Israele, noto anche come Accordo di associazione, siglato nel 2000. Auspicando che il governo israeliano “accetti l’invito al più presto perché le questioni da discutere sono abbastanza urgenti”, l’Unione ha fatto sapere che ha intenzione di discutere “del rispetto degli obblighi in materia di diritti umani e dei principi democratici” da parte del Paese. L'Europa è il principale partner commerciale di Israele, rappresenta poco meno di un terzo di tutto il suo commercio, il che significa che l'accordo è un potente strumento di pressione sul gabinetto di guerra del Primo Ministro israeliano.
Riferendosi alla sentenza emessa venerdì 24 maggio dalla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia, Borrell ha dichiarato ai giornalisti: "Abbiamo ottenuto l'unanimità necessaria per chiedere un Consiglio di associazione con Israele al fine di discutere sulla situazione a Gaza (…) e su come intende attuare la sentenza del tribunale". Unanime la condanna dei ministri degli Esteri dei Paesi europei. La ministra belga Hadja Lahbib ha dichiarato che "Dobbiamo garantire che le nostre regole e i nostri valori siano rispettati da tutti, soprattutto da partner come Israele. Ne va della nostra credibilità". La slovena Tanja Fajon, il cui governo è al lavoro per riconoscere lo Stato palestinese, oltre ad aver condannato “fermamente l'attacco di Israele di domenica sera contro gli sfollati palestinesi, tra questi molti bambini bruciati vivi", ha aggiunto che "A Bruxelles (...) oggi mi batterò per il rispetto del diritto internazionale umanitario e della decisione della Corte internazionale di giustizia. In caso di continue violazioni, l'UE deve reagire in modo unito e deciso, anche con sanzioni".
Nel frattempo, dopo aver sostenuto che quello di domenica è stato un errore, l’esercito israeliano è tornato a bombardare il campo profughi di Tal As-Sultan, uccidendo altre 46 persone e ferendone 110. Funzionari sanitari di Gaza riferiscono di ulteriori 21 morti e dozzine di feriti in seguito a un nuovo attacco israeliano ad una tendopoli a Rafah, mentre da terra la parte meridionale di Rafah è continuamente bersagliata dai carri armati. Raid aerei sono stati registrati anche nel centro della Striscia di Gaza a Al-Burej, Deir Al-Balah e Nuseirat dove si registrano altre vittime. Ad aggravare la situazione si aggiunge anche la parziale distruzione del molo costruito dall'esercito statunitense per portare aiuti alla popolazione palestinese. Stando a media arabi il molo, da cui sono transitate in una settimana di attività 820 tonnellate di materiale, è stato disancorato dalla costa da forti mareggiate. Il numero totale dei morti a Gaza è di 36.100, i feriti 81.100, i dispersi oltre 11.000. Un nuovo rapporto diramato oggi dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli Affari Umanitari nella Striscia di Gaza, oltre a confermare il numero degli sfollati che dal 6 maggio sono stati costretti ad abbandonare Rafah, un milione, fra i vari dati riporta che sono 3.000 le donne vedove, 10.000 i bambini rimasti orfani e sono oltre 17.000 i minori non accompagnati o separati dalle famiglie che si trovano senza alcuna tutela.