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Usa, la guerra dei dazi è già iniziata: Trump annulla la "Minimum tax". Esultano le big tech

Il neo presidente ritira Washington dal "patto fiscale globale" Ocse. Un assist alle big tech a stelle e strisce ma anche il primo atto della guerra dei dazi, con obiettivo in particolare l'Europa

di Mauro Indelicato

Usa, la guerra dei dazi è già iniziata: Trump annulla la "Minimum tax" e fa esultare gli oligarchi del web

La presenza dei cosiddetti “oligarchi del web” alla cerimonia di insediamento di Donald Trump assume, ora dopo ora, connotazioni sempre più precise. Tra i meandri dei nuovi provvedimenti firmati dal tycoon infatti, non sono pochi gli ordini esecutivi che tirano in ballo direttamente “big tech” e multinazionali. E non certo in chiave negativa. Al contrario, la seconda amministrazione Trump sembra aver sposato una linea volta a offrire ai grandi colossi a stelle e strisce una sorta di “ombrello” politico internazionale.

Su tutti, ad esempio, spicca l'ordine esecutivo con cui il neo presidente ha ritirato Washington dal cosiddetto “patto fiscale globale”. Ossia l'accordo, siglato nel 2021 tra 137 Paesi aderenti all'Ocse (l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), con il quale è stata fissata una tassa minima del 15% per tutte le multinazionali che operano nel territorio dei Paesi firmatari.

La scelta di Trump sulla “Minimum tax”

L'accordo del 2021 è anche noto come “Minimum tax”, proprio perché prevede una fiscalità minima da applicare alle varie grandi aziende con interessi nei Paesi dell'area Ocse. Il principio è semplice: se un'azienda opera in più contesti e ha un fatturato minimo di 750 milioni di dollari annui, deve pagare una tassazione almeno del 15%. Una cifra da raggiungere con un'imposta integrativa lì dove il prelievo fiscale appare al di sotto di questa soglia.

Il tutto, nelle intenzione dei firmatari, per evitare un disequilibrio a livello internazionale. Con il suo decreto firmato nel suo primo giorno da rientrante inquilino della Casa Bianca, Trump ha lanciato un messaggio importante: la sua amministrazione intende fare proprie le istanze delle grandi multinazionali a stelle e strisce.

La scelta di Trump è stata infatti vista con simpatia da molti degli imprenditori delle big tech presenti a Washington nel giorno del suo insediamento. I colossi statunitensi, a partire da quelli della Silicon Valley, potranno continuare a pagare in patria meno di quanto previsto dalla minimum tax. Il congresso Usa infatti, nonostante l'adesione dell'amministrazione Biden, non ha mai ratificato l'accordo del 2021 e in tutta la federazione vige una tassazione del 10.5%.

L'ombrello della Casa Bianca sulle big tech

Tuttavia, i capi delle grandi aziende made in Usa non esultano soltanto per la “semplice” fuoriuscita di Washington dal patto fiscale Ocse. In realtà, la conquista più importante offerta loro da Donald Trump riguarda un altro atto firmato dal tycoon. Si tratta del memorandum con cui il neo presidente ha dato un preciso mandato al Dipartimento del Tesoro: stilare una lista di Paesi che applicano presunte tassazioni discriminatorie contro aziende statunitensi e, nel caso, applicare misure protettive (leggasi dazi) contro di essi.

In poche parole, Trump non si è limitato a non dar corso al patto del 2021 in patria, ma ha messo nel mirino anche chi è sospettato di alzare il peso fiscale per le multinazionali Usa impegnate all'estero. Del resto, nel suo discorso di insediamento più volte lo stesso Trump è tornato su un punto ben preciso: “Difendere gli interessi Usa e far rispettare gli Usa all'estero”. Una difesa che evidentemente passa dallo scudo a favore delle big tech e degli altri colossi impegnati fuori dai confini nazionali.

Usa fuori dalla "Minimun tax", i danni per l'Europa

Per il Vecchio Continente gli allarmi sono molteplici. In primis, la fuoriuscita di Washington dall'accordo rischia di far naufragare il patto del 2021 e dunque di non vedere centrati gli obiettivi di allineamento alla base del trattato: “Anni di lavoro messi in discussione”, ha scritto su X l'ex commissario Ue Paolo Gentiloni. C'è poi il discorso legato al comportamento delle big tech: lo scudo protettivo offerto loro dalla Casa Bianca, renderà più difficile all'Europa battere cassa e pretendere la tassazione attuale.

Terzo punto, la non applicazione del patto fiscale potrebbe garantire posizioni di maggior vantaggio agli Usa. Molte grandi aziende europee infatti, vedrebbero più conveniente fare il percorso inverso dell'Atlantico e operare maggiormente negli Stati Uniti. La guerra commerciale quindi, in attesa di capire cosa farà Trump sui dazi, è forse già iniziata.