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Leonard Cohen, Marianne Ihlen e quelle strane storie sull’isola di Hydra
Leonard Cohen e Marianne Ihlen, a cinque anni dalla morte, un libro, un’intervista e uno spettacolo: Un amore a Hydra, intervista a Tamar Hodes
D’altronde, se anche l’esperimento artistico e sociale su Hydra dopo qualche anno fallì, quello stesso esperimento – e l’esperimento di Cohen e Marianne, della loro storia d’amore – ci ha lasciato in eredità una dimensione onirica e poetica, e alcune delle più belle canzoni di Cohen…
C’è sempre un’essenza, al fondo delle cose: la tolleranza, che su quell’isola fu reale. Un’aspirazione di felicità individuale, la bellezza di un’arte che non avesse altro scopo che quello di esserci. Inutile, e per questo vitale, necessaria. Con tutte le loro contraddizioni, quegli artisti e quelle artiste ci credettero veramente, in questa cosa. Con tutti i loro limiti, e grazie a qualche privilegio, fecero delle scelte: che poi queste si traducessero in insuccesso non era così importante. Ecco, forse è questo il messaggio che mi piacerebbe cogliessero i lettori del mio romanzo: il tentativo di una vita non dettata da calcolo, ma da un bisogno creativo. Senza necessariamente porsi come modello per nessuno: ma solo come alternativa per se stessi. Quanto oggi saprebbero vivere la propria vita senza far calcoli? E qui di nuovo ritorna la metafora, il simbolo, quello dell’isola come di una dimensione altra: imperfetta, certo, ma diversa, capace di liberare tempo ed energie. Ma in grado di farlo solo mescolando l’acqua e col vino: l’elemento creativo dionisiaco col lavoro materiale di tante persone, lasciate spesso nell’ombra. Il genio è un’astrazione, se non si riconosce il ruolo di chi, quel genio ha permesso di coltivarlo. Anche questo vorrei che si cogliesse: prima di essere i prodotti del nostro talento, siamo i prodotti di chi ci ha permesso di esprimerlo, quel talento. Come fu la cameriera di Cohen per Cohen. Come fu la stessa Marianne. Non c’è un messaggio di rivoluzione, nel romanzo: a quegli artisti la rivoluzione come risultato politico tutto sommato interessava poco. La loro esperienza da questo punto di vista non può essere considerata paradigmatica. Ma c’è un richiamo all’umiltà, e al rispetto di chi permise loro di farla, quell’esperienza. Persone che da loro, dal loro estro, spesso stralunato, trassero nuovi motivi per resistere, per non piegarsi alla cupezza del regime e alla durezza della loro vita materiale.
Ecco un altro livello di lettura: quello della reciprocità, che poi è alla base della stessa metafora di textus, dal ‘tessere’: la combinazione di elementi che si tengono insieme per produrre un contenuto narrativo…
Esattamente, proprio così. O, se vuoi, per dirla con Leonard Cohen, “c’è una crepa in ogni cosa, ed è da lì che entra la luce”.