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"Tre ciotole", Affari recensisce il libro di Murgia: "Visione graffiante"
Michela Murgia IPA

“Dove ho sbagliato?” è la domanda che Michela Murgia pone al dottore quando apprende l’esito infausto delle analisi. Un interrogativo tanto inutile – perché in realtà nessuno potrà mai rispondere ad esso – quanto inevitabile: chiunque abbia ricevuto la comunicazione di una malattia potenzialmente mortale prima o poi deve passare da qui.

La spiegazione del dottore tuttavia la sorprende, e colpisce in effetti anche il lettore, dando avvio a un ragionamento al contrario: “Siamo essere complessi, signora… non credo si possa definire la questione in termini di sbagli suoi. Gli organismi sofisticati sono più soggetti a fare errori. È il sistema che ogni tanto si ingarbuglia, la volontà non c’entra (…). Mi ha detto che scrive romanzi, un bellissimo lavoro, ma è molto complicato. Nessuna specie in natura lo sa fare, solo gli esseri umani (…). Preferirebbe non saper fare nessuna di queste cose a patto di non ammalarsi mai? Gli organismi unicellulari non sviluppano neoplasie, ma non imparano lingue. Le amebe non scrivono romanzi”.

Ecco allora che il punto di vista sulla malattia si ribalta: essa diventa una parte di noi in quanto esseri umani; tanta complessità ci rende fragili, la sensibilità ci toglie certezze. Ma in fondo, ragiona la Murgia, ne vale la pena. “Quello che doveva essere un avversario da distruggere le era appena stato dipinto come un complice della sua complessità, una parte disorientata del suo corpo sofisticato, un cortocircuito del sistema in evoluzione, niente di più di un compagno che sbagliava”.

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