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Rai, "Taglio del canone? Una stupidaggine. Nove? Ecco come supererà La7"

Intervista a Marco Gambaro, esperto di economia dei media. Tra streaming, ascolti tv e Che tempo che fa: facciamo il punto
Rai, l'esperto: "Con il taglio del canone, la televisione pubblica non ruberà pubblicità a Mediaset"
La televisione sta cambiando profondamente. All’inizio della stagione, l’Italia è stata testimone di due grandi risvolti: l’abbassamento del canone Rai, passato da 90 a 70 euro e l’addio di Fazio alla televisione pubblica dopo 20 anni di onorato servizio per approdare sulla semi sconosciuta Nove, proprietà del colosso miliardario americano Warner Bros Discovery.
Per capirne di più e per provare a fare delle previsioni sulla televisione che verrà, Affaritaliani.it ha interpellato Marco Gambaro, professore di Economia dei Media presso l’Università Statale di Milano.
Professore, come considera la mossa del governo di abbassare il canone della Rai?
“In parole povere? Una stupidaggine. Ridurre il canone senza un obiettivo, come è stato fatto in questa occasione, non porta assolutamente a niente. Può sembrare una mossa populista, in modo da far pagare ai cittadini 20 euro in meno, ma non è così. In totale, nel dettaglio, gli italiani pagherebbero circa 440 milioni di euro in meno, ma l’importo sarà in gran parte compensato dallo Stato alla televisione pubblica attraverso le spese relative agli investimenti. Di conseguenza, la dotazione complessiva per la società subisce solo una modifica di lieve entità, pari a 20 milioni di euro. Fatta in questo modo, dunque, questa riduzione altro non sembra che un’operazione contabile. Chi di dovere si sarebbe dovuto porre la domanda: ‘A che cosa puntiamo? Dove vogliamo arrivare? Qual è l’obbiettivo?’”.
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Con il taglio del canone, la Rai alzerà il tetto per gli spot. Dunque, si potrà inserire più pubblicità all’interno della televisione pubblica. Che impatto avrà tutto questo sulla raccolta pubblicitaria delle altre reti, Mediaset tra tutte?
“Non credo che grazie all’innalzamento del tetto la Rai possa fare chissà quali record. In molti credono che, ora che la televisione pubblica mette a disposizione più spazio per gli spot all’interno dei propri palinsesti, allora ruberà grandi fette di mercato a Mediaset e alle altre reti. Ma non credo che andrà a finire così. La televisione, infatti, punta sulla copertura. L’obiettivo è quello di far vedere il proprio spot al numero più alto possibile di persone, ma non solo. Un altro parametro fondamentale è che queste persone che guardano siano anche quelle che comprano. In questo, la Rai ha un’audience meno commerciale di Mediaset. Guardando il prime time (la prima serata, ndr), viale Mazzini vende già molto bene, quindi dovrebbe concentrarsi su altre fasce orarie, come il Day Time. Il mercato televisivo italiano, però, è già molto affollato e bisogna essere dei veri ‘squali’ per vendere quegli spazi. Rai Pubblicità dovrebbe dunque competere innanzitutto con Pubblitalia, la concessionaria del Biscione, la quale è nettamente più forte su questo fronte. In sintesi, l’innalzamento del tetto permetterà alla Rai di portare a casa qualche incasso in più, ma non abbastanza da definire una svolta per l'azienda e affossare, così, i competitor”.
Spostandoci dalle televisioni generaliste. È d’accordo con chi sostiene che con l’arrivo di Fabio Fazio Nove abbia già colmato il "gap" con La7?
“Assolutamente no. C’è un punto fondamentale da considerare se si vuole misurare il vero successo del ‘nuovo’ Che tempo che fa. Gli ascolti li fa il programma oppure il canale? Ebbene, di fronte a uno share di oltre il 12% (ultimo risultato di Fazio di domenica 12 novembre, ndr), la media dell’intero canale vicina al 2% non può che impallidire.
Guardando i palinsesti, sia prima che dopo il programma di Fabio Fazio, i contenuti offerti dal canale non hanno gli stessi risultati, portando a casa ascolti che variano dal 2% al 4% (al massimo) di share. Per far sì che Nove superi La7, Discovery dovrebbe incrementare gli investimenti. E non di poco. Certo, il canale ha alle spalle una delle società di produzione più ‘sane’ e potenti dal punto di vista finanziario. Dipende tutto dalle loro intenzioni.
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Comunque, a livello di raccolta pubblicitaria, la rete non ha la vita facile. Nove deve infatti vendere programmi che fanno il 12%, come Che tempo che fa, ma anche trasmissioni che, invece, fanno l’1% o 2%. Inoltre, ritengo sia molto difficile che Fazio possa continuare a portare a casa punteggi così alti. Molto probabilmente, nel corso del tempo, si consoliderà fermandosi al 7-8%. Certo, dipende anche, però, che cosa decide di affiancarci la rete.
Nel caso Discovery iniziasse a piazzare serie tv o film particolarmente attraenti, allora si alzerebbe anche lo share di chi sta intorno a Che tempo che fa, facendo potenzialmente anche da traino. I soldi per fare il salto di qualità ci sono, dipende solo se la rete ci crede abbastanza da iniettare dei capitali che inizierà a rivedere solo dopo qualche anno”.
Chi sembra non “aver paura” degli ascolti sono le piattaforme streaming che, piano piano, stanno rosicchiando il pubblico della televisione tradizionale
“I grandi colossi ottengono numeri giganteschi in termini di visualizzazioni, ma se li tengono per loro senza condividerli pubblicamente. Uno dei motivi è che fare i conteggi come si fa oggi con la televisione è molto più difficile a causa dei diversi parametri da utilizzare per fare il calcolo. In ogni caso, alle piattaforme streaming come Netflix, Prime Video o Disney+ non interessa particolarmente il puro dato degli ascolti. Per loro, infatti, ciò che conta sono gli abbonamenti. Il loro business model si basa su quanto persone pagano al mese per poter vedere i loro contenuti. Una storia completamente diversa dalla raccolta pubblicitaria che, invece, mantiene in vita la televisione”.