Politica

Libertà di riunione limitata dal Ministero, la fine dello Stato di diritto

di Paolo Becchi e Giuseppe Palma

Con una direttiva del Ministro degli interni, è stata derogata la libertà costituzionale di manifestare

La direttiva richiama anzitutto “l’art. 4 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito con modificazioni dalla l. 22 maggio 2020, n. 35, che affida ai Prefetti il compito di assicurare l’esecuzione delle misure di contenimento del rischio di diffusione del Covid-19 fino al perdurare dello stato di emergenza”. L’art. 4 del decreto-legge fu adottato dal governo Conte bis, durante la prima fase della emergenza - quella del lockdown con le terapie intensive al collasso e con centinaia di morti al giorno - per regolare le sanzioni contro chi non rispettava le prescrizioni necessarie per il contenimento della Covid-19. Cosa c’entra adesso questo decreto con una direttiva ministeriale che reprime la libertà di riunione? Oggi la situazione sanitaria e molto diversa. C’è ancora un’emergenza che giustifica misure repressive contro le libertà costituzionali?

Altra norma richiamata dalla direttiva in esame è quella dell’art. 18 TULPS (testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), secondo cui – specifica la direttiva – “i Questori eserciteranno i poteri previsti dall’art. 18 TULPS e delle connesse disposizioni regolamentari, provvedendo ad adottare, laddove necessario, i divieti e le prescrizioni riguardanti lo svolgimento delle manifestazioni preavvisate”. Si tratta dei poteri che il Questore ha per impedire che abbiano luogo le riunioni in luogo pubblico, ma solo nel caso in cui non ne venga dato preavviso tre giorni prima oppure per motivi di moralità o salute pubblica. Appare evidente che in questo caso, quantomeno fino al termine dello stato di emergenza, il Questore avrà mani libere per fare quello che vuole.

La direttiva infatti  non prescrive direttamente in che modo dovranno tenersi le manifestazioni, ma rimbalza la palla ai Comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza pubblica e ai Prefetti, che dovranno “provvedere con apposite direttive, ai sensi dell’art. 13, secondo comma, della legge 1 aprile 1981, n. 121, ad individuare specifiche aree urbane sensibili, di particolare interesse per l’ordinato svolgimento della vita della comunità, che potranno essere oggetto di temporanea interdizione allo svolgimento di manifestazioni pubbliche per la durata dello stato di emergenza, in ragione dell’attuale situazione pandemica”. Insomma, direttiva ministeriale e successiva direttiva dei Prefetti: un sistema di scatole cinesi che cambierà da provincia a provincia e non farà altro che creare confusione, provocando alla fine un esercizio arbitrario del potere da parte degli uffici periferici del Ministero.