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"Premierato? Riforma che soffoca la rappresentanza. Pericoloso in Ue fragile"
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Premierato, il costituzionalista Lanchester ad Affari: "Riforma che soffoca la rappresentanza. Pericoloso in una Ue che regredisce al sovranismo"

Primo semaforo verde per la riforma costituzionale che contiene l’elezione diretta del presidente del Consiglio. Un passo verso il premierato e per “rafforzare la democrazia, dare stabilità alle nostre istituzioni, mettere fine ai giochi di palazzo” ha commentato Giorgia Meloni. Le opposizioni, però, sono insorte, e mentre Elly Schlein ha parlato di un’Italia a “brandelli”, l’associazione Articolo 21 ha promosso un appello al quale hanno aderito 180 costituzionalisti. I sottoscrittori hanno deciso di mettersi al fianco di Liliana Segre, che il 14 maggio ha chiesto la parola per intervenire nel dibattito sulla riforma costituzionale che si stava svolgendo nell'Aula del Senato.

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Tra loro il professore e saggista Fulco Lanchester, interpellato da Affaritaliani.it per capire i rischi e i punti deboli della riforma voluta dal centro-destra.

Professore, qual è il punto più critico della riforma?

La previsione dell’elezione diretta del Presidente del Consiglio contestuale a quella dei parlamentari della Camera e del Senato e la mancata verifica dell’esistenza di un sistema elettorale adeguato.

Il ddl adottato in prima lettura dal Senato urta con il principio della separazione dei poteri, mettendo sotto totale controllo dell’esecutivo il potere legislativo. Confligge, inoltre, con l’art. 67 della Costituzione  che prevede il “divieto di mandato imperativo”. Questo genera grande incertezza e confusione nella riforma stessa, che avrebbre prima dovuto pensare ai principi fondamentali e al meccanismo elettorale.

È dunque destinata a fallire?

La proposta di riforma prospetta molti problemi e molti pericoli per l’ordinamento democratico. Sarebbe stato più semplice e corretto intervenire sul bicameralismo perfetto, superandolo, e adeguando il sistema elettorale alle esigenze di stabilità e di democrazia. Già nel 1993 il cosiddetto Mattarellum fallì proprio perché non si pensò alla più semplice delle riforme, ossia al superamento del bicameralismo perfetto. Poi il percorso è stato caratterizzato da ipercinetismo elettorale compulsivo (sono otto i meccanismi elettorali che si sono succeduti in trent’anni), mentre le proposte di innovazione della forma di governo sono divenute sempre più incisive. Si è dimenticata la catena di trasmissione e di partecipazione rappresentata dal partito politico (art. 49 Cost.), virando sul solo leader, che nomina i candidati e quindi i parlamentari. Manca il circuito politico parlamentare attraverso la scelta dei candidati da parte degli elettori. E quindi siamo nell’ambito di un sistema plebiscitario più o meno conclamato.

Il rischio più grande?

La proposta di riforma, invece di introdurre meccanismi di stabilizzazione, concentra tutto sulla personalità di un leader e di una maggioranza polarizzata. Essa rischia poi di incidere sugli stessi organi costituzionali di garanzia (Presidente  della Repubblica e Corte Costituzionale).

Quindi non è vero, come sostenuto dalla destra, che è un passo per rafforzare la democrazia?

Ritengo di no, perché la riforma non è volta all’individuazione complessa da parte dell’elettorato di un rappresentante, di un partito, di un programma e di una squadra di governo, ma solo di un leader. Come ho detto prima, si soffoca la rappresentanza e lo stesso principio liberal-democratico.

Secondo Lei l’Italia è pronta per questo tipo di riforma?

Partiamo dal presupposto che l’Italia oramai dovrebbe inserirsi  in un sistema chiamato Unione Europea. Un ordinamento che in questo momento sta attraversando un periodo di fragilità, visto che la prospettiva federale è messa in pericolo dallo spostamento a destra dell’elettorato verso i partiti sovranisti e dall’instabilità geopolitica.

E quindi?

Quindi con un’Ue sempre più unita e sempre più pronta al salto di qualità dal Trattato a una Costituzione europea potrebbero trovare spazio anche riforme volte a rafforzare incisivamente l’esecutivo nazionale. Ma poiché non c’è uno spostamento verso l’Europa ma piuttosto una regressione di tipo sovranista, una riforma di inchiavardamento dei poteri come quella prospettata può spostarci verso le democrazie iliberali.






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