Lo sguardo libero

"Affirmative action": si voti SI' al referendum sul taglio dei parlamentari

Ernesto Vergani

Gli italiani da troppo tempo sono distanti dalla politica. Lontananza che rischia di diventare irrecuperabile

Affirmative action è l’ espressione che indica in lingua inglese la “discriminazione positiva”. È  lo strumento utilizzato per promuovere la partecipazione politica a chi ha identità etniche, di genere e sociali in contesti in cui è sotto-rappresentato. Un esempio sono le quote rosa, arancioni, grigie e via discorrendo.

E’ evidente che il pensiero liberale è contrario a tali quote perché non democratiche: il merito  è il sale della democrazia. E quest’ultima si basa sull’individuo: le persone sono diverse, non uguali, se non di fronte alla legge. Di qui l’ingiustizia che un uomo eccellente sia per legge sostituito in un ruolo da una donna mediocre. Tuttavia in una democrazia evoluta esistono momenti in cui il cambiamento va persino imposto per colmare velocemente un ritardo grave. Anche un liberale può così accogliere le citate quote.

In senso lato e con volo pindarico, votare sì al referendum confermativo sul taglio dei parlamentari, domenica 20 e lunedì 21 settembre, riducendo i deputati e senatori, che guadagnano i famosi oltre 12.000 euro al mese, complessivamente da 945 a 600, può essere considerata una forma di affirmative action. I dubbi sono molti. Sono schierati per il sì i 5 Stelle, Lega (per coerenza con le quattro votazioni che hanno portato al referendum), Fratelli d’Italia. Forza Italia e Italia viva lasciano libertà di scelta. A breve dovrebbe arrivare la linea ufficiale del Pd.

E’ vero, la riforma costituzionale Renzi-Boschi del bicameralismo paritario (limite della nostra funzione legislativa), fu bocciata dagli italiani col referendum del 2016, mentre questa si limita a ridurre il numero dei parlamentari. E’ vero anche che alcuni addetti ai lavori paventano il rischio di sotto-rappresentanza se passasse la riforma e persistesse l’attuale sistema elettorale. Dispiace quindi che M5S e Pd siano in ritardo sulla riforma elettorale, di cui l’iter è in fase embrionale, sul modello proporzionale tedesco, ma con diritto di tribuna che eliminerebbe totalmente il dubbio della sotto-rappresentanza di alcune aree geografiche.

E’ anche vero che sa di demagogia ridurre il numero dei parlamentari, ma sorprende sentirlo dire da politici, che hanno fatto tantissimo per la nostra Repubblica e che meritano tutto il rispetto, ma che occupano gli scranni dei Palazzi Madama e Montecitorio da 30 anni non lasciando spazio ai giovani (altra affirmative action che servirebbe… quella per i giovani). Per giunta la riduzione dei parlamentari, in presenza di un leader di partito tale, cioè autorevole, ridurrebbe la candidatura di “notabili” lasciando spazio al merito.

Dall’altra parte la maggioranza degli Stati democratici ha un numero minore di parlamentari dell’Italia e il Parlamento può funzionare benissimo, anche grazie all’ausilio delle nuove tecnologie, se 600 persone lavorano duramente. Certo, come ricorda il direttore del Corriere della Sera, Luciano Fontana, il problema rimane la scelta dei parlamentari. Attualmente poco più di sette su dieci sono laureati, anche se non è certo la laurea (oggi ormai quasi il minimo dell’istruzione) a confermare la preparazione di una persona e non è questa la questione, che è a monte, ossia come viene selezionata la classe politica. Da considerare anche il risparmio di 57 milioni all’anno, cifra relativa rispetto al bilancio dello Stato, ma simbolica. 

Un liberale sa bene che la demagogia è nemica della democrazia, che chi eccelle (certo non è il caso di alcuni nostri parlamentari… quanti di loro sono in grado di scrivere di proprio pugno e decentemente 30 righe?) deve essere ben pagato se ha un ruolo di responsabilità. Si pensi a quanto guadagna un manager di altissimo livello. La distanza degli italiani dalla politica dura da troppo tempo e rischia di diventare irrecuperabile (mutatis mutandis, seppur forse per eccesso di paragone, come è stato a lungo per le donne, gli omosessuali, i disabili da più ambiti).  Il pastore a volte, oltre che guidare, deve saper assecondare il gregge.