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Millenials, allarme "workhaolism": lavorano anche in vacanza e nei weekend

Millenials, allarme workhaolism: lavorano anche in vacanza e nei weekend. Il 63% è produttivo anche in malattia, il 32% lavora anche in bagno

Millennials, allarme "workhaolism": lavorano anche in vacanza e nei weekend

Il 'workaholism', ossia la sindrome da dipendenza dal lavoro, colpisce il 66% dei millennials. Il dato emerge da uno studio americano pubblicato su Forbes. Il 63% ha rivelato di essere produttivo anche in malattia, il 32% di lavorare addirittura in bagno e il 70% di rimanere attivo nel weekend.

 

Ricordarsi che la qualita' della vita e' un bene insostituibile, trovare un mentore che possa trasferire la propria esperienza e prendersi una meritata pausa dallo stress quotidiano. Sono questi alcuni dei consigli che la master coach Marina Osnaghi ha stilato per gestire al meglio il 'workaholism', sindrome da dipendenza dal lavoro che colpisce il 66% dei millennials: il 32% dei ragazzi americani ha infatti ammesso di lavorare anche dal bagno.Il dilatarsi del tempo dedicato al lavoro e l'assottigliarsi delle ore di liberta' sono diventati temi sempre piu' critici, soprattutto per la generazione dei millennials, cresciuta in un'epoca che ha visto aggiungersi a questi problemi l'egemonia della tecnologia e la costante presenza sui social network. Fattori che hanno determinato il delinearsi di uno scenario fortemente stressante e negativo, confermato da uno studio americano pubblicato su Forbes, secondo cui il 66% dei nativi digitali ha ammesso di sentirsi affetto da 'workhaolism', termine coniato nel 1971 dallo psicologo Wayne Oates nel libro 'Confessions of a Workhaolic: The Facts about Work Addiction' e che indica "la compulsione o l'incontrollabile necessita' di lavorare incessantemente".

Ma non e' tutto, dalla ricerca e' emerso che il 63% dei millennials ha rivelato di essere produttivo anche in malattia, il 32% di lavorare addirittura in bagno e il 70% di rimanere attivo nel weekend. E ancora, secondo un sondaggio pubblicato sul Washington Examiner, il 39% dei nativi digitali sarebbe disposto a lavorare perfino in vacanza, all'interno di una vera e propria 'workcation'. Ma cosa fare per combattere questa forma di dipendenza? Gli esperti consigliano di perseguire un equilibrio consapevole fra i vari aspetti della vita, trovare un mentore che possa trasferire la propria esperienza e concedersi una pausa costruttiva al termine di ogni giornata lavorativa, ricordandosi che la qualita' del benessere psicofisico e' insostituibile.

"Nei geni dei giovani digitali e' insita l'attitudine all'utilizzo di ogni apparato tecnologico che permetta una connessione al mondo, senza bisogno di spostarsi dal proprio ufficio e dalla propria casa. Cio' comporta un cambiamento della percezione del tempo e uno stato di trance che li fa diventare incoscienti. Me lo raccontano spesso i genitori dei ragazzi, facendo un amaro confronto con la generazione precedente- spiega Marina Osnaghi, prima Master Certified Coach in Italia, che ha affiancato grandi imprenditori e professionisti nel raggiungimento dei propri obiettivi- La tecnologia li segue ormai ovunque, mentre sono in bagno, mentre si vestono, mentre mangiano e addirittura quando sono malati. I millennials si trovano immersi in un ciclo continuo di stimoli, costretti a lavorare un numero di ore dilatato rispetto a quello che sarebbe in un mondo senza tecnologia. E con l'aumento delle ore di lavoro si annullano inequivocabilmente gli spazi per la vita privata. Per questo ricordarsi che la qualita' della propria vita e' insostituibile diventa una raccomandazione fondamentale per evitare conseguenze spiacevoli sul fisico e sulla psiche".

Ma quali sono gli effetti deleteri del workhaolism sulla salute dei ragazzi? Secondo uno studio condotto da Cecilie Andreassen, professoressa di Psicologia all'Universita' di Bergen, e pubblicato su Psychology Today, i sintomi piu' comuni derivati dalla dipendenza dal lavoro sono depressione, ansia, insonnia e aumento di peso. Pensiero condiviso anche dalla psicoterapeuta Amy Morin, che nel suo bestseller internazionale '13 Things Mentally Strong People Don't Do' ha evidenziato come il 42% dei millennials che lavorano intensamente piu' di 9 ore al giorno e rimangono costantemente attaccati allo schermo del pc hanno avuto riscontri negativi sulla propria salute mentale, andando a peggiorare le relazioni sociali con amici, parenti e il proprio partner.

In una ricerca su un campione di oltre 300 donne Bryan Robinson, professore alla University of North Carolina-Charlotte, ha riscontrato che il rischio divorzio e' altissimo: solo il 45% dei workaholic riesce ad evitarlo contro l'84% della popolazione. E ancora, il dott. Justin Bazan in uno studio pubblicato su Daily Mail ha evidenziato come il 58% dei giovani lavoratori della fascia 18-32 ha accusato forti problemi alla vista a causa del tempo eccessivo trascorso al computer. Per curare questa forma di dipendenza sono stati addirittura fondati centri terapeutici ad hoc, di cui il piu' importante ha sede a New York e si chiama 'Workaholics Anonymous'. Un esempio drammatico e lampante e' rappresentato anche dal fenomeno degli Hikikomori, adolescenti perennemente catturati dal web che decidono di non uscire di casa durante l'intero arco della giornata. Trend negativo che si pensava interessasse esclusivamente il Giappone, ma che negli ultimi anni ha interessato anche l'Europa e il Belpaese.

Ma quali sono le principali motivazioni che spingono sempre piu' giovani a lasciarsi catturare dalla spirale del workhaolism? "La pressione del capo, la paura di non riuscire a fare carriera, il forte desiderio di avere successo dal punto di vista professionale e quindi lavorare sodo per sfondare. Sono numerosi gli stimoli che possono impattare sulla scarsa capacita' di mettere un limite ordinato alla propria esistenza- prosegue Marina Osnaghi- La generazione dei millennials dimostra molta piu' preoccupazione verso il futuro rispetto alla precedente, soprattutto a causa della ricerca dell'indipendenza economica, del desiderio di una famiglia da formare e poi mantenere, e dell'ansia di dover essere piu' bravi degli altri. Ne consegue che le abitudini di lavoro sono diventate una gabbia in cui perdersi e i confini etici che proteggono la vita privata sono andati via via affievolendosi". 

Da Il Redattore Sociale