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Omicidio Agostino, "007 coinvolti. Depistaggio istituzionale" oltre la mafia

Di Redazione Cronache

Depositate le motivazioni con le quali lo scorso 5 ottobre i giudici hanno confermato l'ergastolo al boss Nino Madonia

Omicidio Agostino-Castelluccio, le motivazioni della sentenza Madonia: "Depistaggio istituzionale"

Depositate le motivazioni con le quali lo scorso 5 ottobre i giudici della Corte d'assise d'appello di Palermo, presieduta da Angelo Pellino, hanno confermato l'ergastolo al boss Nino Madonia per l'omicidio del poliziotto Nino Agostino, e della moglie incinta, Ida Castelluccio, uccisi a colpi di pistola il 5 agosto 1989. Un omicidio connesso alla sua attività di 'cacciatore di latitanti' e testimone scomodo, perché avrebbe visto il boss Madonia con l'ex numero tre del Sisde Bruno Contrada e il poliziotto Gianni Aiello, 'Faccia da mostro'. Una sentenza che diede parziale ristoro alla sete di verità al papà Vincenzo Agostino, morto lo scorso 21 aprile, a 87 anni, con la sua lunga barba bianca, reclamante giustizia piena. Un capitolo delle 562 pagine delle motivazioni visionate da AGI, è dedicato al "Depistaggio istituzionale". Diversi, afferma il dispositivo, "sono gli esponenti istituzionali cui può addebitarsi di avere scientemente o per negligenza ritardato o fuorviato lo sviluppo delle indagini, con silenzi, omissioni, reticenze o addirittura interventi di manipolazione o soppressione delle fonti di prova".

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Basti rammentare, per i giudici, "le reticenze o le tardive — e parziali — ammissioni" di Elio Antinoro, del commissariato presso il quale Agostino prestava servizio, "il quale minimizza i compiti dell’agente al punto di tacere mansioni che pure risultavano dai fogli di servizio, come il servizio di vigilanza al Reparto Detenuto dell’Ospedale Civico o quello di addetto all’ascolto delle intercettazioni; e nega che Agostino fosse motivato e propositivo sul lavoro e che avesse interesse per l’attività investigativa, salvo ammettere solo nel 2016 che un paio di volte gli aveva prospettato di avere la possibilità di raccogliere informazioni di interesse investigativo, affrettandosi però a dire che tale evenienza non si concretizzò mai". Antinoro, inoltre, "ha taciuto, fino al 2016, sulla diffusione di elenchi nominativi di latitanti mafiosi, con annesse taglie, distribuite presso i commissariati di polizia, incluso quello di San Lorenzo, da funzionari del Sisde; come ha taciuto, fino al 2016, sul coinvolgimento dell’agente Agostino in un servizio delicato e assolutamente riservato come quello di scorta al sedicente collaboratore Alberto Volo". Così come per anni, incalzano i giudici nelle motivazioni della sentenza d'appello, "ha taciuto sull'incontro con il giudice Falcone e sulla domanda da questi rivoltagli se ritenesse che l'omicidio Agostino avesse qualcosa a che vedere con l'indagine che stavano conducendo sulla base delle rivelazioni del predetto Volo: un interrogativo del quale Antinoro non sa dare alcuna spiegazione".

Omicidio Agostino-Castelluccio, le motivazioni della sentenza Madonia: "Depistaggio istituzionale"

Ma è certo che il giudice Falcone, si legge nelle motivazioni, "non poteva avere formulato una congettura di quel genere solo per avere notato Agostino tra i poliziotti occasionalmente di scorta a Volo. E non può escludersi che al medesimo filone d’indagine alludesse l'avvertimento rivolto dallo stesso Falcone al commissario Montalbano, quando si incontrarono alla camera ardente dell’agente Agostino allestita al commissariato San Lorenzo ("Occhio Montalbano, questa è una cosa diretta contro di me e contro di te"), poiché in epoca che approssimativamente colloca tra il 1988 e il 1989, Montalbano era stato 'informalmente' delegato dal giudice Falcone ad una serie di accertamenti per verificare se il terrorista nero Fioravanti, indicato da Volo come autore dell’omicidio del presidente della Regione Piersanti Màttarella, si fosse recato in Sicilia all’epoca del delitto e per ricostruirne gli spostamenti". A supporto della 'pista istituzionale, per i giudici, la distrunzione da parte del poliziotto in pensione Guido Paolilli", che aveva provveduto a reclutare lo stesso Agostino, di "una freca di carte" rinvenute nell'armadio di Agostino, in occasione della perquisizione domiciliare cui prese parte nella notte tra il 7 e l’8 agosto 1989 "e il suo decisivo input a battere la (falsa) pista Aversa; e in anni successivi le pesanti pressioni — se non le velate minacce: 'finiamo tutti in galera' — rivolte ai familiari del poliziotto ucciso, affinché lo informassero e si attenessero ai suoi suggerimenti su cosa dire, nel caso in cui gli inquirenti avessero loro fatto domande su possibili collegamenti con i fatti dell’Addaura.

E i suoi silenzi o le sue persistenti reticenze, sulla vera natura dei timori che Agostino gli aveva esternato negli ultimi tempi, con particolare riguardo alle preoccupazioni per parentele mafiose della moglie. E ancora: il ruolo di Arnaldo La Barbera, "il più complesso da decifrare e sul quale si tornerà in prosieguo. Basti però qui ricordare che è lui ad assumere personalmente la direzione delle indagini e a sposare fin dall'inizio la tesi che riconduceva il movente alla relazione sentimentale che aveva legato la vittima a Lia Aversa, fino a firmare il rapporto giudiziario del 27 settembre, e a insistere su quella pista, almeno fino a quando alla I sezione della Squadra mobile non si insedierà il dottor Luigi Savina". E in seguito, "avrebbe addirittura tentato di depistare ancora le indagini attraverso il falso pentito Vincenzo Scarantino, facendogli credere che le indagini sul duplice omicidio Agostino-Castelluccio portavano a lui, e così tentando di indurlo ad accollarsi anche questo delitto: ciò è quanto ha rivelato dallo stesso Scarantino all’udienza del 4 giugno 2015 del processo Borsellino quater. Il tentativo però sarebbe fallito, sempre a dire dello Scarantino, per non avere egli voluto falsamente auto accusarsi, in aggiunta all'essersi già falsamente autoaccusatosi di avere partecipato alla strage di via D'Amelio, anche di un'ulteriore mostruosità, quale quella di avere assassinato l’Agente Agostino e la giovane moglie".

Omicidio Agostino-Castelluccio, le motivazioni della sentenza Madonia: "Temuta sua caccia ai latitanti"

Le motivazioni depositate oggi dai giudici della Corte d'assise d'appello di Palermo che il 5 ottobre hanno confermato l'ergastolo a Nino Madonia, per l'omicidio dell'agente Nino Agostino e della moglie incinta, mettono a fuoco il ruolo che il boss ricopriva all'epoca dei fatti in Cosa nostra e nell'ambito del mandamento di Resuttana, sulla base di risultanze sulla figura di Giovanni Aiello, 'Faccia da mostro', e i suoi rapporti con l'ex 007 del Sisde Bruno Contrada. Si fa riferimento diretto alla "collusioni mafiose di alti funzionari di polizia e appartenenti ai Servizi"; ai rapporti del clan Galatolo-Madonia con appartenenti agli apparati di polizia o gravitanti nell'ambito dei Servizi; sulla vicenda dei "cacciatori di taglie" e la relativa catena di delitti; alla carriera criminale di Antonino Madonia; ai "depistaggi ascrivibili ad alcuni degli inquirenti dell'epoca" ma, "in primo luogo, all'attività investigativa segretamente svolta dall'agente Agostino". Uno dei punti nevralgici individuato dall'Agostino era costituito da quel vicolo Pipitone che costituiva allora il centro catalizzatore del "mandamento" di Resuttana, luogo di summit e affari, ma anche il luogo in cui i Madonia "intrattenevano rapporti con esponenti dei Servizi di sicurezza (da Contrada a La Barbera sino a Giovanni Aiello". L'attività svolta da Agostino nei mesi antecedenti il suo omicidio "era divenuta altamente pericolosa proprio per l'ordinario svolgimento delle attività mafiose del territorio del mandamento di Resuttana", soprattutto per l'attivismo che la caratterizzava e che conduceva 1'Agostino persino ad impegnarsi in quella direzione anche al di fuori del suo orario di lavoro e senza disposizioni di servizio in tal senso, fatto che, peraltro, contrastava con gli "equilibri" che in quel territorio "era stato possibile trovare con le forze dell'ordine (emblematica appare in proposito la condotta del Comandante della Stazione dei carabinieri lì di stanza di cui hanno riferito concordemente Vito e Giovanna Galatolo, oltre che Angelo Fontana e Vito Lo Forte).

Incertezze residuano, rilevano i giudici, anche sulla possibilità che a far precipitare la decisione di uccidere Agostino, abbia concorso il rischio che "egli potesse rivelare i legami collusivi di autorevoli appartenenti alle forze dell'ordine con esponenti mafiosi": ipotesi che troverebbe appiglio in alcune fonti dichiarative; e che però, "non varrebbe comunque a delineare un movente alternativo alla pista mafiosa e anzi si radicherebbe perfettamente nell'ambito di una ricostruzione che postula il coinvolgimento dei Madonia, perché sarebbero state proprio le incaute proiezioni di Agostino nel territorio dell'Acquasanta, feudo dei Galatolo­ Madonia a fargli scoprire, o a metterlo nelle condizioni di scoprire, quegli intrecci collusivi". Ma tutto ciò non toglie, ragionano i giudici, "che almeno alcuni risultati ragionevolmente certi possono dirsi conseguiti. E la prima certezza "è la sussistenza di un interesse specifico e concreto di Cosa nostra a eliminare l'agente Agostino". Con "il convincimento di questa Corte" che Agostino fu ucciso "a causa dell'impegno profuso nel suo lavoro, e più precisamente nell'attività investigativa mirata alla cattura di importanti latitanti mafiosi che egli stava svolgendo, al di fuori delle sue mansioni ufficiali e compiti di istituto"

Omicidio Agostino-Castelluccio, le motivazioni della sentenza Madonia: "Ombre come in stragi, ruolo 007"

"Permangono zone d'ombra, secondo un copione tristemente ripetutosi non solo nei processi per le stragi del 1992 e del 1993, ma in molti dei processi che hanno avuto ad oggetto omicidi c.d. eccellenti o comunque fatti delittuosi ai danni di esponenti istituzionali, politici, magistrati, sulla possibilità che altre entità, esterne a Cosa nostra abbiano concorso a commetterli, o che nella loro genesi e alla base delle relative deliberazioni vi sia stata una convergenza di interessi mafiosi e anche esterni all'organizzazione mafiosa". Così i giudici della Corte d'assise d'appello di Palermo nelle motivazioni depositate oggi in ordine alla sentenza con cui il 5 ottobre è stato confermato l'ergastolo a carico del Nino Madonia, per l'omicidio dell'agente Nino Agostino e della moglie incinta. "Su tutti - si legge nelle motivazioni visionate da AGI - si staglia l'ombra di un coinvolgimento dei Servizi, alludendo ovviamente ad apparati deviati dei servizi di sicurezza o delle forze dell'ordine. Un copione che si è ripetuto in questo processo come, per non andare troppo lontano anche cronologicamente, per la vicenda dell'attentato all'Addaura, rispetto alla quale per anni si è ipotizzato un possibile collegamento con il duplice omicidio di Villagrazia di Carini, di cui in effetti non v'è prova, e che deve anzi escludersi, anche alla luce delle risultanze raccolte in questo processo (a corredo di quelle già scrutinate nei processi celebrati e definiti con sentenze passate in cosa giudicata sull'attentato del 20-21 giugno 1989)".

Era "precipuo interesse di Cosa nostra", scrivono i giudici d'appello, e segnatamente dei Madonia, "eliminare un poliziotto rivelatosi un ficcanaso", che "andava curiosando" nel cuore del loro territorio in un periodo in cui vicolo Pipitone era teatro, tra l'altro, di "incontri riservati con esponenti delle istituzioni e quindi poteva rappresentare una minaccia per la sicurezza e l'impunità delle attività illecite della locale cosca mafiosa, anche sotto il profilo di una proficua e sicura perpetuazione di quei contatti che rappresentavano per il sodalizio mafioso capeggiato dai Madonia, una risorsa strategica di assoluto rilievo". Uno di quegli esponenti istituzionali di alto livello "è stato identificato in Bruno Contrada", incrociando le dichiarazioni dei vari collaboratori di giustizia che ne hanno parlato. Vito Galatolo rammenta che in occasione di uno di questi incontri vide Agostino e il collega Emanuele Piazza fare ingresso a vicolo Pipitone ed andare ad appostarsi in fondo al vicolo, pochi minuti prima che arrivassero Giovanni Aiello ('Faccia da mostro') e Bruno Contrada. "Al di là dei rapporti specifici con Arnaldo La Barbera - scirovno ancora i giudici - il collaboratore Vito Galatolo è stato perentorio nel confermare che i suoi parenti, così come i Madonia godevano di protezioni all'interno degli apparati investigativi e di polizia, grazie alle quali venivano informati di eventuali perquisizioni o operazioni di polizia nel loro territorio; e in caso di mandati di cattura, loro lo sapevano prima".