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Cronache
Strage via D'Amelio, ferita ancora aperta: ricordare è un dovere collettivo

Ad uccidere il magistrato fu un’autobomba che esplose alle 16:58 al numero civico 21 di via D’Amelio a Palermo. Era una domenica d’estate, uguale a tante altre domeniche di luglio. Il giudice era stato al mare con la sua famiglia, e al ritorno dalla sua casa estiva a Villagrazia di Carini era andato a trovare sua madre, come faceva spesso la domenica.

Sceso dall’auto si accese una sigaretta e poi suonò il citofono. In quel momento 90 kg di tritolo, nascosti in una Fiat 126 rossa, causarono la morte del giudice e di cinque poliziotti; si salvò solo l’agente Antonio Vullo che si era allontanato per parcheggiare una delle auto della scorta.

L’attentato che avvenne 57 giorni dopo la Strage di Capaci, in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo, spinse l’allora ministro della Giustizia Claudio Martelli a firmare d’urgenza l’applicazione del regime del carcere duro (art. 41 bis dell’Ordinamento penitenziario) nei confronti di circa 300 detenuti per reato di mafia, ‘ndrangheta e camorra, di cui dispose anche il trasferimento nei penitenziari dell’Asinara e di Pianosa.

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