Culture
Il nuovo progetto espositivo del Mast di Bologna: le uniformi da lavoro
Al Mast fino al 3 maggio grandi fotografi internazionali raccontano il lavoro attraverso le uniformi in contesti storici, sociali e professionali differenti
Sono oltre 600 gli scatti fotografici di grandi protagonisti della fotografia esposti nel nuovo progetto espositivo, UNIFORM INTO THE WORK/OUT OF THE WORK, alla fondazione Mast di Bologna che parlano di lavoro e inclusione/esclusione sociale attraverso le uniformi in contesti storici, sociali e professionali differenti. Nate per distinguere chi le indossa, le uniformi da un lato mostrano l’appartenenza a una categoria, ad un ordinamento o a un corpo, senza distinzioni di classe e di censo, dall’altro possono evidenziare la separazione dalla collettività di chi le porta. Le parole “uniforme” e “divisa” rivelano, allo stesso tempo, inclusione ed esclusione. La mostra collettiva "La divisa da lavoro nelle immagini di 44 fotografi", allestita nella Photo Gallery, raccoglie gli scatti di 44 artisti: celebri protagonisti della storia della fotografia tra cui, Manuel Alvarez Bravo, Walker Evans, Arno Fischer, Irving Penn, Herb Ritts, August Sander e fotografi contemporanei come Paola Agosti, Sonja Braas, Song Chao, Clegg&Guttmann, Hans Danuser, Barbara Davatz, Roland Fischer, Andrè Gelpke, Helga Paris, Tobias Kaspar, Herline Koelbl, Paolo Pellegrin, Timm Rautert, Oliver Sieber, Sebastião Salgado, immagini tratte da album di collezionisti sconosciuti e otto contributi video di Marianne Müeller. In tutto il mondo si distingue ancora oggi tra “colletti blu” e “colletti bianchi”, due espressioni che si sono imposte in molte lingue della società industrializzata. Ispirandosi all’abbigliamento da lavoro, si opera una distinzione tra diverse forme e categorie professionali e poi sociali: da un lato la casacca o la tuta blu degli operai delle fabbriche, dall’altro il colletto bianco quale simbolo del completo giacca e pantaloni, camicia bianca e cravatta di coloro che svolgono funzioni amministrative e direttive. La mostra è un viaggio tra le uniformi, che sollecita una riflessione sull’essere e sull’apparire: le casacche da lavoro fotografate da Graciela Iturbide, i grembiuli protagonisti dei “piccoli mestieri” - come li chiama Irving Penn - del pescivendolo e dei macellai, le tute degli scaricatori di carbone nel porto de L’Avana ritratti da Walker Evans, gli abiti dei contadini negli scatti a colori di Albert Tübke, le tute da lavoro delle operaie nelle officine di montaggio della Fiat, a Torino, nelle fotografie di Paola Agosti. Nelle immagini di Barbara Davatz gli abiti da lavoro dei collaboratori di una piccola fabbrica svizzera si confrontano con le uniformi degli apprendisti del più grande rivenditore di generi alimentari "Migros" fotografati da Marianne Müller, i colletti bianchi di Florian Van Roekel fanno da contrappunto alle tute nere dei minatori nelle foto del cinese Song Chao e alle lavoratrici di una fabbrica di abbigliamento immortalate da Helga Paris. L’abbigliamento da lavoro comprende anche gli indumenti protettivi, che sono al centro delle immagini sia del messicano Manuel Álvarez Bravo, sia di Hitoshi Tsukiji che si sofferma sui guanti di sicurezza della Toshiba, sia di Sonja Braas, di Hans Danuser e Doug Menuez che si concentrano sulle tute. L’abito non rispecchia solo la diversa occupazione, né obbedisce esclusivamente alla funzionalità del lavoro, ma indica anche una distinzione di classe e di status come mostra il grande Ritratto di gruppo dei dirigenti di una multinazionale di Clegg&Guttmann dove la luce illumina solo i volti, le mani e i triangoli sfolgoranti formati dai risvolti, dalle camicie bianche e dalle cravatte. Nei nove ritratti di August Sander, considerato uno dei più famosi ritrattisti del XX secolo, emerge la simbiosi tra persona, professione e ruolo sociale più che l’essenza dei singoli individui. L’attenzione del fotografo è infatti sulla funzione sociale, piuttosto che estetica della fotografia, con l’intento di costruire un’immagine fedele della propria epoca. L’esposizione ci guida dall’abbigliamento da lavoro all’uniforme con i sette imponenti ritratti del soldato “Olivier”di Rineke Dijkstra, le uniformi civili delle serie di Timm Rautert, abiti del monaco e della suora fotografati da Roland Fischer fino ad arrivare ai ritratti di Angela Merkel nelle nove fotografie di Herlinde Koelbl, la celebre artista tedesca che ha dedicato un progetto pluriennale, “Traces of Power” alla raffigurazione anno per anno di alcuni dei maggiori leader politici tedeschi, a partire dal 1989, l’anno della caduta del Muro di Berlino. Nelle immagini esposte al Mast, la cancelliera tedesca è ritratta in anni molto distanti tra loro che evidenziano la capacità di rimanere sempre se stessa, anche nel modo di vestire, nello sguardo, nella postura. “L’essere sempre uguale a sé stessa è stata la sua forza e il suo potere - sottolinea il curatore Stahel - come è sua la capacità di essere la perfetta espressione del suo tempo stando al centro della società. Lei rappresenta la stabilità e l’ordine”. Sebastião Salgado immortala il riposo di un operaio della Safety Boss Company, in Kuwait, impegnato nelle operazioni di spegnimento dei pozzi petroliferi dati alle fiamme dagli iracheni nel 1991 durante la Guerra del Golfo. Le opere di Olivier Sieber, Andreas Gelpke, Andri Pol, Paolo Pellegrin, Herb Ritts e Weronika Gesicka descrivono la progressiva trasformazione dell’abbigliamento da lavoro e dell’uniforme in stile e moda assieme alla serie “Beauty lieswithin” di Barbara Davatz che fotografa alcuni commessi di H&M fuori dal contesto lavorativo. Le fotografie dei ricami di Tobias Kaspar, tratti dagli archivi di un produttore tessile svizzero, chiudono idealmente la mostra. Su grandi monitor otto addetti alla sicurezza in uniforme di servizio, protagonisti di altrettanti video di Marianne Müller, “vigilano” sui visitatori.
Al Mast è possibile visitare anche la mostra monografica del fotografo americano WALEAD BESHTY “RITRATTI INDUSTRIALI”, allestita nella Gallery/Foyer, che raccoglie 364 ritratti, suddivisi in sette gruppidi 52 fotografie ciascuno: artisti, collezionisti, curatori, galleristi, tecnici, altri professionisti, direttori e operatori di istituzioni museali. Sono fotografie di persone con cui l’artista è entrato in contatto nel suo ambiente di lavoro, mentre realizzava la sua arte o preparava le mostre. Nel corso degli ultimi dodici anni Walead Beshty ha fotografato circa 1400 persone con una macchina di piccolo formato e pellicola analogica di 36 mm, per lo più in bianco e nero. Dal totale degli scatti effettuati il fotografo ha scelto un ritratto per ogni singolo soggetto, per la mostra al Mast ne sono stati selezionati 364. L’obiettivo di Walead Behsty, ispirandosi al lavoro di inizi del ‘900 del ritrattista August Sander, non è quello di esprimere l’aspetto, il carattere o la natura della persona fotografata – scopi che il ritratto in studio ha perseguito fin dagli albori della fotografia - ma è quello di rappresentare le persone nel loro ambiente di lavoro (che è anche il suo), la loro funzione e il ruolo professionale che svolgono in seno al mondo e al mercato dell’arte. É da qui che deriva il titolo della sua opera “Industrial Portraits”. “Da un lato in questo titolo possiamo riconoscere il riflesso di una tecnica per certi aspetti standardizzata, dall’altro possiamo dire che i ritratti in mostra e la serie nel suo insieme (1400-1500 elementi in continuo aumento) costituiscono a loro volta una sorta di “ritratto” di una specifica realtà industriale, cioè l’industria dell’arte nel suo complesso. In questo senso, gli “Industrial Portraits” rendono visibili e mettono in evidenza gli attori che si muovono in questo settore che si ritiene tendenzialmente libero da strutture gerarchiche”, spiega il curatore della mostra Urs Stahel. I 364 ritratti di Beshty evidenziano la riluttanza dei protagonisti per l’uniformità dell’abbigliamento professionale. Non bisogna apparire come l’altro, uniformati, omologati. Con il rischio però che questa definizione in negativo si riveli nuovamente, per tutti gli attori che operano in quell’ambiente, un atteggiamento uniformato e standardizzato. Nonostante lo sforzo con cui ogni singolo individuo ritratto mira a mostrare una presenza e un’immagine unica, personale e originale, i protagonisti pare rimangano dipendenti dal contesto, prigionieri del loro atteggiamento individualistico.
Apertura al pubblico: sabato 25 gennaio ore 10.00
Ingresso gratuito
Orari di apertura
Martedì - Domenica 10.00 - 19.00
MAST.
via Speranza 42, Bologna
25 gennaio – 3 maggio 2020