Esteri
Musei aperti in Giappone e chiusi in Italia: l’efficacia del modello orientale
Vicino Oriente: notizie e tendenze dal mondo giapponese | Da Tokyo a Osaka a Sapporo e Fukuoka, l’esempio virtuoso della cultura nipponica che non si ferma
In Italia, i musei sono stati tra i primi a chiudere i battenti la scorsa primavera, quando il pericolo della pandemia da Covid-19 si era fatto più incombente. Dopo una cauta riapertura a inizio estate, ora queste strutture sono state di nuovo chiuse al pubblico, come stabilito dall’ultimo Dpcm emanato.
In Giappone, invece, le cose stanno andando diversamente: la maggior parte dei musei è aperta al pubblico e le misure anti-Covid sono così avanzate che il protocollo del Mori Art Museum di Tokyo è stato preso a esempio dal Cimam, Comitato internazionale dei musei di arte moderna e contemporanea, nello stilare le proprie linee guida suggerite valide a livello mondiale.
A ben guardare, girando fra i siti internet dei principali musei giapponesi, non si trova nessuna norma fuori dall’ordinario: igiene, controllo degli ingressi e distanziamento sociale. Cose che ormai ci sono familiari da mesi. Eppure, è proprio grazie a queste regole che i musei giapponesi sono in funzione anche durante questa seconda ondata (anzi, in Giappone si parla già di una terza), mentre quelli italiani sono tornati all’inattività.
Forse non all’inattività completa, visto che in molti, tra direttori e impiegati, non hanno voluto demordere e stanno cercando soluzioni alternative per offrire comunque i loro servizi al pubblico costretto a casa, magari con visite digitali o eventi in diretta social. Per esempio, gli Uffizi di Firenze, a fine ottobre, hanno programmato un evento livestream in collaborazione con Tik Tok Japan per permettere al pubblico giapponese di immergersi in una visita guidata virtuale tra le sale del museo con spiegazioni tradotte simultaneamente da un’interprete esperta.
Eventi e progetti di questo tipo si stanno moltiplicando per tutta Italia, ma le difficoltà sono numerose. Per esempio, non tutte le strutture hanno le possibilità tecniche o finanziarie per sostenere questi eventi, e molti lavoratori della cultura hanno contratti precari che non permettono loro di rimanere attivi durante la chiusura della sede museale, magari neanche di passare un lockdown economicamente sereno.
L'ingresso del Mori art museum di Tokyo
Anche per questo, all’annuncio della sospensione delle attività culturali decisa dal governo nelle scorse settimane, si è subito levata una protesta da parte degli addetti ai lavori, che, tra le altre cose, fanno notare quanto importante sia l’accesso alla cultura in questo momento di difficoltà collettiva, in cui la gran parte della attività di socializzazione e incontro sono vietate.
Ecco perché il modello giapponese può rappresentare un esempio virtuoso da seguire anche in Italia. Le aree di intervento sono essenzialmente cinque: controllo dei visitatori, controllo dei lavoratori, controllo degli edifici, comunicazioni e coordinamento tra strutture.
Il controllo dei visitatori avviene contingentando gli ingressi, permettendo prenotazioni e acquisto dei biglietti solo online, programmando un numero massimo di persone presenti nella stessa giornata all’interno della struttura e predisponendo regole in base alle quali consentire l’accesso alle sale: uso della mascherina, igienizzazione delle mani, assenza di sintomi, temperatura corporea al di sotto dei 37 gradi.
Il controllo dei lavoratori avviene più o meno allo stesso modo: uso di mascherine, eventualmente visiere e guanti, distanziamento tra colleghi e con i visitatori, misurazione della temperatura e igienizzazioni costanti.
Negli edifici si sono organizzati percorsi che consentano di mantenere le distanze durante la visita delle sale, il posizionamento di segnali che aiutino a mantenere queste distanze, l’areazione e l’igienizzazione costante degli ambienti e la riorganizzazione delle esposizioni per rendere l’applicazione di queste norme più agile.
Si è poi creata una rete di azione coordinata tra strutture museali che prevede, per esempio, l’acquisto di un biglietto unico valido per più sedi, così da mantenere vive non solo le grandi realtà ma anche le piccole gallerie, oltre a consentire una distribuzione meno concentrata del pubblico.
Importantissimo è anche il fattore comunicazione: i musei aggiornano costantemente i propri siti internet sugli eventuali casi di coronavirus verificatisi tra i visitatori, fornendo dettagli utili quali giorno e ora della visita dell’eventuale contagiato, così da rendere possibile agli altri presenti di fare gli opportuni controlli medici. Questo è possibile grazie alla richiesta al pubblico, effettuata al momento dell’ingresso, dei dati necessari al tracciamento, come nome, cognome, numero di telefono.
Tutti i musei, o almeno quelli più noti consultati, mettono ben in vista sui loro siti le proprie linee guida anti-Covid e la facilità di reperimento delle informazioni aumenta il senso di fiducia degli utenti. C’è poi una piccola importante nota da mettere in evidenza, trovata sul sito del Tokyo national museum: “Please, be considerate of other visitors in the galleries”, per favore, abbiate rispetto degli altri visitatori. Semplice, elementare, ma, in fondo, non si riduce tutto a questo? L’attenzione per gli altri, la stessa che useremmo per noi stessi, è fondamentale nel preservare la salute dell’intera comunità.
L'ingresso del Tokyo national museum
A conti fatti, tutte le norme applicate dai più importanti musei nipponici sono quelle basilari che si raccomandano ovunque da mesi, eppure sono efficaci, non solo nel contenere il contagio, ma anche nel permettere alle persone di continuare a mantenere una vita quanto più “normale” anche in fasi critiche come la seconda ondata che stiamo subendo attualmente. Certo, il Giappone è un’isola, fattore fondamentale nel controllo degli ingressi e della propagazione del virus, ma ha anche il doppio degli abitanti dell’Italia e circa un decimo dei suoi casi di coronavirus: forse, uno sguardo al modello nipponico potrebbe esserci più utile di quanto pensiamo.