Esteri

Ma il presidenzialismo non era sinonimo di stabilità? Cosa dovrebbe insegnare il caos Francia a Meloni

di Mauro Indelicato

La sfiducia a Barnier dimostra che un sistema è stabile solo fino a quando lo è il quadro politico. Viceversa, nemmeno il premierato potrebbe preservare da terremoti come quello francese

Ma il presidenzialismo non era sinonimo di stabilità? Cosa dovrebbe insegnare il caos Francia a Meloni

Stabilità, esecutivo forte, ma anche quella voglia di dare ai francesi un monarca con le vesti di trascinatore dei valori della “Republique”. È su queste basi che, nel 1958, la Francia ha varato la sua nuova costituzione e ha avviato il percorso della cosiddetta “Quinta Repubblica”. Il calcolo fatto all'epoca è semplice: se il Paese rimane spesso preda dell'ingovernabilità, occorre dunque spostare il baricentro del potere nelle mani del presidente. Il tutto però senza intaccare istituzioni e principi repubblicani. È per questo che la Quinta Repubblica ha avuto sempre nel semi presidenzialismo uno dei suoi connotati più importanti, quasi un tratto distintivo che ha ispirato altri modelli in Europa e non solo e che, specialmente in anni più recenti, più volte è stato evocato anche nel nostro Paese.

A ben guardare, al presidente della repubblica francese spettano oneri e onori difficilmente rintracciabili in altri sistemi del Vecchio Continente. Il capo dello Stato ha in mano tutto, a partire da un potere esecutivo gestito in coabitazione con un primo ministro da lui nominato. Una nomina che, tra le altre cose, può anche prescindere dal colore dell'Assemblea Nazionale. Può inoltre sciogliere la stessa Assemblea, con l'unico limite di avvertire prima il premier. Si è quindi di fronte a una forte centralizzazione del potere tra le mani dell'Eliseo, sede della presidenza. La Francia nata nel 1958 si è così sentita immune dall'ingovernabilità che spesso ha attanagliato i suoi vicini, Italia in primis.

La caduta del mito della stabilità francese

Ma il mito della stabilità francese adesso è messo gravemente in discussione. Nelle scorse ore è caduto il governo di Michel Barnier, sfiduciato appena tre mesi dopo il giuramento. Una longevità, quella del premier oramai dimissionario, paragonabile a uno dei tanti governi balneari avuti dal nostro Paese negli anni della Prima Repubblica. I suoi predecessori però non sono poi durati così più a lungo. Elisabeth Borne, nominata da Emmanuel Macron nel maggio 2022 (all'inizio del suo secondo mandato da presidente), è rimasta in sella fino allo scorso gennaio. Poi è stata la volta di Gabriel Attal, dimessosi però in estate dopo la convocazione di elezioni legislative anticipate da parte di Macron.


Quando modelli costituzionali e leggi elettorali non bastano a garantire stabilità


Qualcosa quindi sta cambiando. Anche perché c'è un altro elemento, considerato come ulteriore argine all'instabilità, che sta mostrando non poche falle. Il riferimento è alla legge elettorale maggioritaria e a doppio turno. L'abbandono del proporzionale, a suo tempo, ha dato l'illusione di poter costruire un quadro politico caratterizzato da maggioranze stabili, rette attorno a un bipolarismo “imperfetto” trainato da socialisti e gollisti/repubblicani.

L'avanzata dell'estrema destra nell'ultimo decennio ha aggiunto un “terzo polo” nel quadro politico transalpino e ha contribuito a radicalizzare gli schieramenti, con la sinistra di Melenchon che ha preso piede a danno dei socialisti. Macron poi, con il suo En Marche fondato per la campagna elettorale del 2017, ha provato a mettere assieme al centro le forze liberali e moderate superando la tradizionale dicotomia tra destra e sinistra.

Innanzi a un simile scenario, il maggioritario non ha impedito la formazione di parlamenti sempre più frammentati. L'attuale assemblea, eletta dopo le ultime elezioni di luglio, è formata da 15 diversi gruppi parlamentari raggruppati in tre poli molto distanti tra loro: il Nuovo Fronte Popolare a sinistra, la coalizione di Macron al centro e il Rassemblement National di Marine Le Pen a destra. Nessuno dei tre poli è in grado di dar vita a una maggioranza chiara e stabile.

Francia, una lezione anche per l'Italia

Il caso francese dimostra che un sistema può trovare una sua stabilità solo se a essere stabile è il suo quadro politico. La stabilità politica degli ultimi decenni è evidentemente dipesa da un quadro caratterizzato dalla fiducia verso la figura del presidente e verso un sistema simil bipolare. Crollata la fiducia, sono venuti a mancare tutti quegli argini all'ingovernabilità architettati dall'impianto del 1958. Macron è oggi ugualmente preda della paralisi governativa e in parlamento non esiste alcuna maggioranza.

Una lezione, quella francese, che vale anche per il nostro Paese. In Italia da almeno 40 anni si discute di svariati tentativi di riforma per contrastare la breve longevità dei governi. Il primo tentativo, attuato con il maggioritario introdotto dalla legge “Mattarellum” nel 1993, non ha dato i frutti sperati. Negli anni si è parlato molto della possibilità di imitare proprio il sistema francese.

L'attuale maggioranza di centrodestra ha ideato il cosiddetto premierato, con un presidente del consiglio eletto direttamente e a cui verrebbero attribuiti più poteri. A ben vedere, una forma di presidenzialismo incastonato però, forse per non urtare il Quirinale, in un sistema ancora formalmente parlamentare. Il governo spera così di garantire vita lunga ai futuri esecutivi. Ma, come visto a Parigi, la governabilità dipende da fattori che vanno ben oltre le soluzioni costituzionali: se il quadro è instabile, i governi continueranno a traballare come e più di prima.