L'avvocato del cuore

Fallimento del matrimonio e debiti della coppia: le conseguenze della scelta tra separazione o comunione dei beni

Di Andrea Gazzotti*

Quando una coppia si dice “addio” e decide di separarsi, l’aspetto economico assume un ruolo decisivo, dal quale dipenderà in larga misura il futuro degli “ex” coniugi. 
In questo contesto bisogna ricordare che al momento della separazione oltre all’attivo familiare, sarà da suddividere anche il passivo. 
In altre parole, diventa necessario dividere tanto i crediti quanto i debiti contratti in costanza di matrimonio. 

Gli oneri debitori hanno una diversa regolamentazione nel nostro ordinamento, a seconda del regime di comunione o separazione dei beni che i coniugi decidono al momento del matrimonio (ma che può successivamente essere modificato).
Vediamo anzitutto come si dividono in linea generale i debiti della coppia in comunione legale dei beni.
La coppia che ha optato per questo regime è la più svantaggiata, sebbene sia quello previsto dall’ordinamento.
Infatti, se al momento del matrimonio non si dichiara espressamente di volersi sposare in regime di separazione, la comunione legale opera automaticamente e questo perché il principio solidaristico è alla base del rapporto.

Con la comunione, tutti gli acquisti fatti in costanza di matrimonio vanno divisi in quote uguali (ma restano escluse le donazioni, le successioni ereditarie, i risarcimenti del danno, gli acquisti fatti con i proventi di tali beni, gli oggetti di uso strettamente personale o che servono alla professione). 
Lo stesso vale però anche per i debiti, che vanno divisi a metà tra marito e moglie: a stabilire tali conseguenze è il codice civile (art. 194 cod. civ.) secondo cui la divisione dei beni della comunione legale si effettua ripartendo in parti uguali l’attivo e il passivo.

Quindi, la coppia in comunione dei beni che si “scioglie” passa in un regime di separazione dei beni, ma questo va inteso al netto dei debiti esistenti.
Ciò vale anche se i debiti sono stati contratti da uno solo dei due coniugi senza dire nulla all’altro.
Solo se si tratta di atti di straordinaria amministrazione (relativi a beni immobili o beni mobili registrati), il coniuge che non ne abbia saputo nulla può difendersi impugnando l’atto entro un anno da quando ne è venuto a conoscenza (art. 184 cod. civ.).

Ma attenzione: la divisione dei debiti vale solo nei rapporti tra i coniugi e non per i creditori. Difatti, questi ultimi potranno, anche dopo la separazione, agire indistintamente contro l’uno o contro l’altro per l’intero ammontare del proprio credito (si tratta in sostanza di una responsabilità solidale). 
Se così non fosse, facile sarebbe, ad esempio, in una coppia ove uno dei due è nullatenente, separarsi per dimezzare il debito e fare in modo che i creditori non possano riscuotere il 50% dal coniuge privo di beni. 
Chi però paga per intero il debito, può esigere dall’altro il rimborso della sua parte.
Dunque, così come prima della separazione i creditori potevano aggredire l’uno e/o l’altro coniuge, questi lo potranno fare anche dopo la definitiva separazione di moglie e marito, allorquando il debito è stato appunto contratto in regime di comunione.

Tutto è invece più semplice quando la coppia è in separazione dei beni. 

Qui infatti, non instaurandosi una comunione, restano separati sia gli acquisti che i relativi debiti; con il risultato che ciascuno resterà obbligato per le proprie passività non dovendo condividere invece quelle dell’altro.

Questo però non toglie che, se il debito è stato contratto da entrambi i coniugi che, seppur in separazione dei beni, si sono impegnati insieme, il debito solidale rimane anche dopo la separazione.
Sebbene il principio di solidarietà, anche economica, sia un fondamento del matrimonio è bene riflettere profondamente sul regime da scegliere: se la coppia “scoppia” le conseguenze economiche potrebbero essere disastrose.

* Studio Legale Bernardini de Pace