Cronache
Cucchi, giudice: "Depistaggio dei carabinieri per salvarsi le carriere"
Le motivazioni dei giudici che ad aprile hanno condannato otto carabinieri per i depistaggi sul caso Cucchi
Caso Cucchi, le motivazioni della sentenza di condanna ai carabinieri che depistarono le indagini
"La versione dell'Arma dei carabinieri" sulla morte di Stefano Cucchi "era stata 'confezionata' escludendo ogni possibile coinvolgimento dei militari così che l'immagine e la carriera dei vertici territoriali, e in particolare del comandante del Gruppo Roma, Alessandro Casarsa, non fosse minata". Lo scrive il giudice del tribunale di Roma in un passo delle motivazioni della sentenza con cui, nell'aprile scorso, ha condannato otto carabinieri accusati di avere messo in atto depistaggi seguiti alla morte di Cucchi.
Cucchi, giudice: depistaggi per allontanare sospetti da cc
"L'ampia istruttoria dibattimentale ha permesso di ricostruire i fatti contestati e di accertare un'attivita' di sviamento posta in essere nell'immediatezza della morte di Stefano Cucchi, volta ad allontanare i sospetti che ricadevano sui carabinieri per evitare le possibili ricadute sul vertice di comando del territorio capitolino". A scriverlo il giudice monocratico nelle motivazioni della sentenza del processo sui depistaggi seguiti al pestaggio e alla morte di Stefano Cucchi, il 31enne romano, arrestato il 15 ottobre del 2009 e deceduto sette giorni dopo all'ospedale Sandro Pertini. Per questi fatti, lo scorso 7 aprile sono stati condannati gli otto carabinieri imputati. In particolare, nel processo nato dall'inchiesta del pm Giovanni Musaro', e' stato condannato a 5 anni il generale Alessandro Casarsa, 4 anni per Francesco Cavallo e Luciano Soligo, 2 anni e mezzo per Luca De Cianni, un anno e 9 mesi per Tiziano Testarmata, un anno e 3 mesi per Francesco Di Sano, un anno e tre mesi per Lorenzo Sabatino e un anno e nove mesi per Massimiliano Colombo Labriola.
Le accuse contestate agli otto militari dell'Arma, a vario titolo e a seconda delle posizioni, vanno dal falso al favoreggiamento, all'omessa denuncia e calunnia. Il giudice monocratico scrive, inoltre che "le ulteriori condotte realizzate nel 2015, nel contesto delle nuove indagini della Procura della Repubblica di Roma, fossero finalizzate a celare quelle di falso risalenti al 2009 (coinvolgenti il Comandante del Gruppo di allora, il Colonello Alessandro Casarsa e il suo piu' stretto collaboratore, il tenente Francesco Cavallo in servizio in quel momento presso il Comando Provinciale di Roma, contiguo all'ufficio del Comandante del Reparto Operativo, Colonnello Lorenzo Sabatino), considerata la qualita' dei protagonisti e dei rapporti tra alcuni di loro, e che i fatti risalenti al 2018, nel corso del dibattimento del cosiddetto Cucchi bis, avessero lo scopo di svilire la credibilita' di Riccardo Casamassima, teste rilevante per l'ipotesi accusatoria".
"Alla stregua del materiale probatorio in atti, valutato nel suo complesso, deve ritenersi che la falsificazione delle due annotazioni avessero la finalita' di allontanare l'attenzione dall'operato dei carabinieri cosi' da evitare qualsiasi coinvolgimento del Comandante del Gruppo carabinieri Roma, il colonnello Alessandro Casarsa, considerato che l'immagine dell'Arma capitolina era mediaticamente esposta e che gia' altri militari erano stati coinvolti nei gravi fatti in danno del Presidente della Regione Lazio. Allontanando i sospetti dai carabinieri - si legge - non poteva di certo mettersi in discussione l'azione di comando da parte del vertice del comando gruppo Carabinieri Roma la cui figura rischiava di essere quanto meno indebolita dalla vicenda, ancor piu' dopo i fatti che avevano coinvolto il presidente della Regione Lazio”.
Cucchi, giudici: tutti i carabinieri imputati erano consapevoli depistaggi
"Tutti gli imputati avevano la consapevolezza che, attraverso le condotte da ciascuno posta in essere, si giungeva alla modifica e all'alterazione del contenuto delle annotazioni, consentendo cosi di rappresentare uno Stefano Cucchi che stava male di suo, perche' molto magro, tossicodipendente, epilettico". Lo scrive il giudice del tribunale di Roma in un passo delle motivazioni della sentenza con cui, nell'aprile scorso, ha condannato otto carabinieri accusati di avere messo in atto depistaggi seguiti alla morte di Cucchi.
"D'altro canto, si resero necessarie telefonate, colloqui, persino una ricostruzione della scena vissuta da Di Sano, e le modifiche non furono apportate dagli interessati - scrive il giudice monocratico - a Di Sano fu detto 'leggi, firma e poi vediamo se parti'. Tali evenienze, complessivamente apprezzate unitamente ai rilievi precedentemente evidenziati, conducono a ritenere che vi furono delle titubanze proprio in ragione della natura illegittima e manifestamente criminosa dell'ordine".