Culture

Joker, la triste risata che scatena rabbia sociale col volto di Phoenix

Lorenzo Lamperti

Esce il 3 ottobre l'attesissimo film di Todd Phillips, vincitore del Leone d'Oro a Venezia. Con un Joaquin Phoenix bravissimo, fin troppo. La recensione

Non sempre una risata significa felicità. Talvolta una risata significa pazzia, malattia, disagio. Pianto, persino. L'immagine di apertura del film fresco vincitore del prestigioso Leone d'oro della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia è in tal senso emblematica: una lacrima solca un volto sorridente, insieme a un trucco da clown. Il volto è quello di Joaquin Phoenix. Il trucco è quello del Joker. Un attore semplicemente straordinario nei panni di uno dei più celebri personaggi creati dal fumetto made in Usa.

L'arcinemico di Batman ha sempre avuto un grande successo sul grande schermo, grazie anche alle interpretazioni fenomenali di Jack Nicholson prima e del compianto Heath Ledger poi. Non sarebbe stato facile per nessuno raccogliere l'eredità di due attori di quel calibro. Non sarebbe stato facile per nessuno, tranne che per Joaquin Phoenix, che si cala anima e corpo in un personaggio frastagliato e dai mille volti e che nel film diretto da Todd Phillips diventa il protagonista assoluto.

Già nelle precedenti saghe dell'Uomo Pipistrello, firmate da Tim Burton e Christopher Nolan, Joker aveva rubato la scena al rigido Bruce Wayne di Michael Keaton e Christian Bale. Ma questa volta il pagliaccio che diventò supercriminale non deve dividere il palcoscenico con nessuno. E' lui il solista, è lui sotto la luce dei riflettori. Ironico che sia così, in un film che racconta l'origine del mito criminale e la vita di un emarginato come Arthur Fleck.

Perennemente ai margini della società, la vita di Arthur, parafrasando quanto dice lui stesso in un paio di occasioni, è una commedia travestita da tragedia. Una vita costellata di disgrazie sin dall'infanzia e che prosegue in età adulta, quando si ritrova a fare il clown di strada ma subisce qualsiasi tipo di angheria in una Gotham City sull'orlo del baratro e nel quale la violenza e il sopruso sono le regole quotidiane. Arthur viene aggredito, sbeffeggiato in diretta televisiva dal suo idolo, l'affermato presentatore televisivo Murray Franklin interpretato da Robert De Niro (in un fin troppo rovesciamento di ruoli rispetto al "Re per una notte" di Martin Scorsese), tradito da chi gli sta più vicino. Le disavventure personali innescate sulle rivendicazioni di una classe sociale dominata dalla rabbia verso i più ricchi crea il mostro. E, almeno per ora, non c'è un supereroe a combatterlo.

Joker è un prodotto impeccabile. Racconta l'origine di un personaggio ai limiti del mitologico e lo fa in una storia che funziona come un meccanismo a orologeria, gettando squarci di luce sul passato di una storia finora rimasta conosciuta solo in superficie. In realtà il Joker di Phillips potrebbe essere chiunque, inserendosi nella tradizione dei looser che la New Hollywood ha saputo raccontare in opere di alto livello. Ma tutto il resto, dalle svolte narrative alla sporca patina grigia tipica di Gotham City è pienamente fumettistica. Phoenix è, ça va sans dire, bravissimo. Fin troppo. La sua interpretazione è un crescendo senza sosta e una caduta senza rete di salvataggio nella follia. Una caduta nella quale lo spettatore è trascinato senza tregua né una guida morale esterna. E Phoenix è sempre costantemente sopra le righe, in una bravura e recitazione fin troppo evidente per essere definita la sua migliore di sempre.

La rabbia, il disagio sociale, così come gli abusi e le disgrazie personali, sono lì, davanti agli occhi. Nessuno riesce a raddrizzarle, in uno scenario distopico (seppur il film sia ambientato all'alba dei duri anni Ottanta) nel quale la folla è sull'orlo del diventare un magma irrefrenabile di rabbia e violenza. Eppure c'è anche un difetto: il film spiega troppo. Tutte le emozioni, le relazioni di causa ed effetto, gli sviluppi narrativi vengono anticipati o raccontati in viva voce in maniera didascalica. Le sfaccettature psicologiche sono più "mostrate" che sentite e la profondità filosofica, condita dal non detto, del "Cavaliere oscuro" è solo un ricordo. Il racconto, che ambisce ad avere una portata più vasta rispetto al classico film trasposto dai fumetti, in questo riesce solo in parte a ottenere il suo risultato mentre l'interessante discorso sociale viene forse un po' troppo abbassato a vicenda personale (come accadeva a dire la verità anche nel caso del personaggio di Bane nel terzo capitolo della trilogia di Nolan). Tutto quello che il film aggiunge davvero al Joker arriva dallo stesso Phoenix, che nel film riesce a fare quello che Arthur Fleck non riesce a diventare nella sua vita: il protagonista. Unico, assoluto. Vero stand up comedian danzante e tragico. Un comico che non fa ridere, ma d'altronde come ricorda lui stesso, "la comicità è soggettiva". 

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