Economia

Imprenditori, la richiesta: "Un giorno di festa che ci rappresenti"

Di Vito Piepoli
 
Una Festa dell'Imprenditore, per rendere omaggio ad una figura chiave per il tessuto economico e sociale italiano è l'iniziativa che porta la firma della Confimprenditori, associazione nazionale che rappresenta imprenditori e liberi professionisti.
 
Nei giorni scorsi ha inviato al governo  un documento dove si annuncia la volontà di istituire la ricorrenza, con la richiesta di adesione e di patrocinio da parte dei dicasteri competenti.
 
"La Festa dell'Imprenditore cadrà il 19 marzo, il giorno in cui la Chiesa celebra San Giuseppe Artigiano, che incarna il simbolo di quelle piccoli e grandi famiglie che sono le nostre aziende - ha spiegato il presidente della Confimprenditori, Stefano Ruvolo - ogni imprenditore contribuisce infatti, quotidianamente, alla crescita e allo sviluppo economico e occupazionale del nostro Paese".
 
L'associazione intende chiedere anche il coinvolgimento degli enti locali, per promuovere iniziative finalizzate alla valorizzare del ruolo dell'imprenditore, come un premio annuale consegnato in occasione di varie celebrazioni da tenersi in tutta Italia.
 
Gli imprenditori sovente sono impopolari nella società, per gli intellettuali, la stampa, nei film e così via. 
Sulle ragioni di questa impopolarità naturalmente esistono contributi tra i più vari, molti luoghi comuni. Ma quello che importa è invece conoscere la sfera dei comportamenti e dei valori che accompagnano i tanti imprenditori onesti che spesso restano nell'oscurità a svolgere il proprio mestiere e portatori di un universo intimo, fatto di valori veri.
 
Michael Novak, filosofo statunitense cattolico, giornalista, scrittore e diplomatico, autore di più di venticinque libri sulla filosofia e la teologia della cultura, così ha scritto: "Come ad altri anche a me, era stato insegnato un vago sentimento di disprezzo per qualsiasi cosa riguardasse imprese o manager (...) Mi insegnarono a disprezzare il capitalismo, le imprese e le attività commerciali, cose, in verità, puramente terrene. Non son esse il regno di Dio (non sono certamente il Salvatore!). Nondimeno anche se imperfette, e qualche volta degne di biasimo, queste umili cose, spesso disprezzate e rifiutate da intellettuali e sacerdoti, si sono dimostrate notevolmente utili per il raggiungimento delle più grandi libertà e di una proprietà più ampia di quanto la gente comune non abbia mai raggiunto in qualsiasi regime alternativo".
 
E ancora: "Nell'intimo cuore del sistema capitalista vi è la fiducia nelle capacità creative dell'uomo. Come affermano i teologi cattolici, e come è provato dall'esperienza, questa fiducia è ben riposta. Tutti noi siamo stati plasmati a immagine di Dio, del Creatore, e ognuno di noi è a sua volta chiamato ad essere un co-creatore e a esercitare creativamente la sua vocazione." Quindi l'imprenditore come co-creatore che deve continuare a creare con la sua iniziativa creativa.
 
Senza imprese e imprenditori non c'è sviluppo, non c'è crescita, non c'è ricchezza, ma l'imprenditore è visto spesso come una figura che fa dell'agire economico e della massimizzazione del profitto, la sola e unica dimensione e finalità della propria azione.
 
Non si può fare impresa se non si ha come obiettivo quello di generare valore, quindi profitto che è un parametro indispensabile per la misurazione della soddisfazione del cliente e quindi del buon andamento della propria impresa. Viceversa l'assenza di profitto è un segnale preoccupante. Generare profitto è razionale, ma anche più morale che non generarlo o peggio del distruggere ricchezza.
 
Inoltre per un imprenditore, come per ogni uomo, l'agire economico è solo una parte dei suoi valori.
L'imprenditore vive la realtà della sua impresa e delle donne e degli uomini chiamati a collaborare insieme a lui. È un mondo fatto di fatica e risultati da raggiungere, è una comunità  all'interno della quale si creano relazioni di vicinanza, amicizia, condivisione, lealtà, compenetrazione. 
 
Il mondo dell'impresa deve ancora essere a lungo valorizzato da questo punto di vista. Proprio in virtù del fatto che l'azienda va considerata innanzi tutto una comunità, la redditività non può essere l'unico indicatore del suo stato di salute.
 
Costruire un'impresa significa fare appello ad altri, impiegati e operai, per realizzare un obiettivo che quindi non dipende esclusivamente dalla volontà dell'imprenditore, ma dalla collaborazione di coloro che egli assume per realizzare il progetto. Perciò, in virtù della logica di impresa, il capo dell'industria non ipoteca solo il suo proprio destino, ma anche quello di tutti i suoi collaboratori. Ignorare questo significa peccare contro lo spirito dell' impresa.
 
Papa Benedetto XVI nell'Enciclica Caritas in Veritate, ha scritto: "L'imprenditorialità, prima di avere un significato professionale, ne ha uno umano. Essa è inscritta in ogni lavoro, visto come " actus personae ", per cui è bene che a ogni lavoratore sia offerta la possibilità di dare il proprio apporto in modo che egli stesso "sappia di lavorare "in proprio"". 
 
Ricordiamo inoltre che l'imprenditore è in bilico tra il successo e l'insuccesso. Nessun imprenditore può cullarsi dei risultati raggiunti. L'imprenditore è il precario per definizione e l'insuccesso è sempre dietro l'angolo. Le dinamiche d'impresa sono dunque dominate dall'incertezza e dal rischio del fallimento. E tutto ciò grava soprattutto sugli imprenditori che quindi non sono in posizione dominante, ma sono tenuti ad obbedire incondizionatamente agli ordini del mercato, e quindi sono in balia dei consumatori. 
 
E nella dimensione dell'insuccesso si aprono poi drammi individuali, determinati non tanto e non solo dal fallimento economico, quanto dal fallimento di un progetto di vita e dalla frustrazione di non poter corrispondere alle aspettative della comunità di persone che ruota dentro e intorno all'impresa.
 
Ricordiamo i tanti casi successi che continuano ancora a verificarsi, di suicidi tra imprenditori: una vera e propria sequela di caduti sul lavoro. Qui si vede quanto gli aspetti morali contino molto nelle vicende intime di tanti imprenditori. Imprenditori che hanno preferito disfarsi della propria vita piuttosto che doversi disfare dei propri collaboratori. 
 
In queste tristi vicende è emerso l'attaccamento di alcuni imprenditori alla propria azienda, considerata un valore in sé, una comunità di persone più che un'organizzazione. 
 
E allora come non premiare i comportamenti di quegli imprenditori che continuano a resistere, non licenziano e stringono i denti in circostanze come l'attuale crisi economica?