Economia

L'onda cinese di vendite fa crollare le borse

Chiusura in forte calo per le borse europee a causa del calo delle piazze cinesi e delle tensioni tra Arabia Saudita e Iran. Il 2016 non si apre bene per le piazze finanziarie del vecchio continente, a Londra l'Ftse 100 cede il 2,39% a 6.093,43 punti, a Parigi il Cac 40 arretra del 2,47% a 4.522,45 punti, a Francoforte il Dax perde il 4,28% a 10.283,44 punti. In calo anche Milano a -3,20%.

L'onda cinese di vendite fa crollare le Borse. L'analisi - Ci risiamo. Archiviati a fine estate, grazie alle imponenti misure di politica monetaria adottate dal governo e dalla People's Bank of China, i timori degli investitori circa il rallentamento dell'economia cinese tornano prepotentemente sulla scena delle piazze azionarie dopo il dato macro di sabato diffuso dall'ufficio centrale di statistica di Pechino che ha certificato la quinta contrazione consecutiva della manifattura. La serie negativa, ha ricordato Bloomberg, più lunga dal 2009 (un valore dell'indice sotto 50 segnala una contrazione dell'economia).

Scivolano così ancora le Borse europee, con Francoforte (la prima economia del Vecchio Continente che ha il maggiore interscambio commerciale con la Cina), Milano il 2,9%, Parigi e Londra il 2,5%.  L'onda di risk off  è partita dalle Borse di Shangai e di Shenzen. Un andamento su cui hanno pesato anche i timori circa un'escalation delle tensioni in Medio Oriente fra Arabia Saudita e Iran, con l'espulsione dei diplomatici iraniani da Rihad. Il peggioramento della manifattura cinese è dovuto ai problemi di sovracapacità delle aziende di Pechino e all'indebolimento della domanda globale. Secondo alcuni economisti i numeri odierni fanno sorgere dubbi sulla capacità della PBoC e del governo di Pechino di stabilizzare l'economia del Paese asiatico.

"Non abbiamo visto alcun miglioramento materiale dello slancio economico", sottolinea Xia Le di Bbva Research. "Le piccolo e medie imprese sono sempre più sotto pressione". Il Pmi di dicembre, conclude He Fan, capo economista di Caixin Insight Group, mostra come "l'economia stia affrontando un rischio più consistente di indebolimento". Nel frattempo la banca centrale della Cina ha fissato il cambio dollaro-yuan a 6,5032 contro l'ultimo fixing del 6,4936, portando la valuta di Pechino su minimi che non si vedevano dal 2011. Il cross usd/yuan è decollato sopra 6,50 e ha toccato un massimo intraday a 6,5384. I grafici suggeriscono che ci sarà probabilmente un ulteriore indebolimento della moneta contro il dollaro nel prossimo futuro. Il biglietto verde potrebbe inoltre apprezzarsi in vista della pubblicazione delle minute del Fomc di mercoledì".

Il rosso degli indici azionari cinesi è salito via via nel corso delle negoziazioni fino alla sospensione delle quotazioni (per la prima volta nella storia) dopo un tonfo del 7%. E, in base alla nuova norma che obbliga alla sospensione di un giorno se una prima cessazione di 15 minuti non basta e fermare il calo, il crollo dell'indice CSI30, misura per le Borse di Shangai e Shenzen, ha spinto così le piazze finanziarie alla chiusura automatica e, sui mercati valutari, lo yuan ai minimi dal 2011.

La decisione di sospendere le contrattazioni ovviamente ha innervosito i mercati e lascia prevedere nuovi cali nei prossimi giorni, sentiment che potrebbe indurre il governo di Pechino ad intervenire per scongiurare il pericolo di un ritorno della forte volatilità sui listini cinesi, dopo che Shangai ha concluso il 2015 con un rialzo complessivo, rispetto ai 12 mesi precedenti, del 10%. Incremento a due cifre che ha recuperato il rosso maturato durante l'estate per lo scoppio della bolla finanziaria che ha gonfiato il prezzo di molti titoli.

L'andamento dei listini cinesi ha condizionato anche le Borse delle vicine economie, a cominciare da Tokyo, dove, al termine di una seduta contraddistinta dalle vendite, l'indice Nikkei ha ceduto il 3,06% a 18.450,98 punti. Anche le altre piazze finanziarie asiatiche hanno chiuso in territorio negativo.

"I listini asiatici - hanno commentato alcuni operatori finaziari da una sala operativa - si sono mossi in rosso appesantiti dal tonfo dell'azionario cinese, che ha risentito anche dai timori sullo stato di salute dall'economia. I prezzi del petrolio, invece, sono saliti del 3% alla luce delle tensioni geopolitiche".