Economia
Lavoro, non è più soltanto subordinato o autonomo. Il caso riders
Una sentenza molto innovativa sui riders
di Piero Righetti
La Corte d'Appello di Torino ha pronunciato una sentenza - la numero 26/2019 - che potrebbe avere un'importanza a dir poco fondamentale per il nostro diritto del lavoro.
Ribaltando parzialmente la sentenza con la quale il Tribunale di Torino aveva respinto il ricorso di 5 riders licenziati da Foodora, il Giudice di Appello ha infatti dichiarato - come si legge nelle motivazioni rese pubbliche lo scorso 4 febbraio - che questi lavoratori, pur non potendosi considerare lavoratori subordinati, hanno diritto (anche se lavoratori autonomi) al riconoscimento di alcune tutele proprie dei rapporti di lavoro dipendente, tutele che devono comprendere "sicurezza e igiene, retribuzione diretta, indiretta e differita (con inquadramento professionale al 5° livello del contratto collettivo logistica e trasporto merci), limiti di orario, ferie e previdenza", con esclusione peraltro della specifica tutela di cui possono fruire i lavoratori subordinati in caso di licenziamento.
Se è chiaro ed è espressamente indicato l'inquadramento al fine di stabilire i loro parametri retributivi, rimane però troppo generico il riferimento alle tutele previdenziali.
L'importanza di questa sentenza sta però nel fatto che i giudici di Torino nel caso sottoposto al loro esame hanno ritenuto applicabile, per la prima volta da quando è entrato in vigore, l'art. 2 del D.Lvo n. 81/2015 che stabilisce espressamente che "a far tempo dal 1° gennaio 2016 si applica la disciplina del lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro".
Ci troviamo di fronte ad una sentenza, come detto, che, anche se non dovesse essere confermata dalla Cassazione e/o da altre decisioni dei giudici di merito su situazioni similari, riveste un'importanza notevolissima in quanto - come già sostenuto in dottrina e da esperti di diritto del lavoro - la disciplina dettata dall'art. 2 in parola (che aveva lo scopo di porre un freno al dilagare dei contratti di collaborazione coordinata e continuata che mascheravano veri e propri rapporti di lavoro dipendente) configura una 3° tipologia dei rapporti di lavoro, quella del lavoro autonomo etero organizzato e diretto, cioè una forma di lavoro che, pur non potendosi considerare vero e proprio lavoro subordinato, ha del lavoro subordinato importanti caratteristiche e necessità, quindi, di altrettante tutele, retributive e previdenziali, tipiche del lavoro dipendente quale contratto stipulato tra due parti (datore di lavoro-committente e lavoratore) che non hanno assolutamente la stessa capacità e forza contrattuale.
L'art. 2 del D.Lvo 81/2015 fa parte di una delle tante e importanti innovazioni introdotte dal Jobs Act che non hanno ancora trovato una concreta applicazione per una serie complessa di motivi tra cui difficoltà applicative, diminuita importanza dei sindacati, stato di crisi del mercato del lavoro.
La decisione adottata dalla Corte d'Appello di Torino costituisce a mio avviso un'importante presa d'atto del fatto che lo svolgimento dell'attività lavorativa ha subito in questi ultimi anni, e non solo in Italia, importanti modifiche in conseguenza della diversa e sempre più snella (e a volte multiforme) organizzazione del mondo produttivo che tende, tra l'altro, a far svolgere la prestazione lavorativa di cui ha bisogno (quasi) totalmente al di fuori dell'azienda, al fine, tra l'altro, di ridurre il costo diretto e indiretto del personale e di poter fruire di una sempre più ampia flessibilità ed elasticità della manodopera utilizzata, non solo giornaliera ma addirittura oraria.
E' questo uno dei più importanti punti di svolta, attuali e futuri, del mercato del lavoro, italiano e non solo, unito a quello della sempre maggiore robotizzazione (prevista fra 3/4 anni per almeno il 60-70% delle nostre aziende).
Per completezza ricordo che quello dei riders - autodefinitisi "braccianti metropolitani" - è un settore in continua evoluzione ed espansione e che, attualmente, i riders dipendenti dalle tre maggiori aziende che operano in Italia (Deliveroo, Glovo, Justeat) sono in prevalenza maschi con un'età media di 26-27 anni, all'80% italiani, 1 su 2 studenti e si muovono di preferenza in bicicletta (70%), lavorando da 10 a 13 ore a settimana, dando una propria disponibilità oraria quasi doppia ed avendo paghe vergognose e controlli anche di geolocalizzazione al limite del giuridicamente lecito.
Il Ministro del lavoro lo scorso mese di giugno aveva dato la massima disponibilità, anche sua personale, a varare una piattaforma contrattuale minima di tutele e di diritti per questi lavoratori, tra cui l'obbligo di assicurazione Inps e Inail e specifiche modalità di licenziamento. Le relative proposte, per una serie di ritardi dovuti anche alle associazioni datoriali e sindacali del settore, sono però ferme da tempo e di questo stallo ne ha approfittato tra l'altro l'ormai chiusa Foodora Italia che lo scorso novembre ha licenziato tutti i propri "dipendenti" con una semplice email.
A quando la ripresa concreta dei lavori al Ministero? Si parla da ultimo, in questi giorni, dell'adozione da parte del Governo di un decreto ad hoc per la questione riders senza peraltro sentire preventivamente sui suoi contenuti i sindacati di settore. Non mi sembra questa la migliore delle soluzioni possibili.