Economia
Mediaset, l’avvocato della Ue boccia le norme che bloccano le azioni Vivendi
MEDIASET: VIVENDI, 'SODDISFATTI, IN UE CONFERMA NOSTRA POSIZIONE'
Mediaset, l’avvocato della Ue boccia le norme che bloccano le azioni Vivendi
"Mediaset prende atto delle posizioni espresse dall'Avvocato Generale che, come indicato in calce allo stesso comunicato stampa, non vincolano le decisioni della Corte di Giustizia". E' quanto dichiara il gruppo in una nota. "Mediaset sottolinea che, diversamente dalle posizioni espresse nel giudizio pendente dalla Commissione UE, anche l'Avvocato Generale ribadisca come la tutela del pluralismo dell'informazione può giustificare 'l'adozione di misure nazionali che limitano la libertà di stabilimento', demandando tuttavia ai giudici nazionali la valutazione della proporzionalità di tali misure". "In attesa della sentenza da parte della Corte UE e delle valutazioni di tale sentenza da parte del giudice nazionale, nella perdurante vigenza della normativa oggetto di scrutinio giudiziale, nulla cambia - puntualizza Mediaset - in merito alla valutazione di illiceità della condotta di Vivendi in relazione all'acquisto del 29,94% del capitale sociale di Mediaset".
La vicenda, nota alle cronache finanziarie italiane, inizia nel 2016, quando Vivendi, gruppo televisivo francese, lancia una scalata a Mediaset, arrivando al 28,8% del capitale sociale, pari al 29,94% dei diritti di voto. Scelta che segna una rottura tra Silvio Berlusconi, primo azionista di Mediaset tramite Fininvest, e l'imprenditore e finanziere bretone Vincent Bolloré, entrambi soci di Mediobanca ("E chi è Bolloré?", ha detto recentemente l'ex presidente del Consiglio). Il gruppo del Biscione denuncia quindi Vivendi all'Agcom, accusandola di avere violato la legge italiana che, per salvaguardare il pluralismo dell'informazione, vieta ad un'impresa "di realizzare, direttamente o indirettamente, attraverso soggetti controllati o collegati , oltre il 20% dei ricavi complessivi del cosiddetto Sistema integrato di comunicazioni (Sic)". La percentuale si riduce al 10% "se l'impresa detiene nel contempo una quota superiore al 40% dei ricavi complessivi del settore delle comunicazioni elettroniche in Italia". Questa condizione si avverava nel caso di Vivendi, che già occupava una posizione rilevante nel settore italiano delle comunicazioni elettroniche, in virtù del controllo di Telecom Italia (Tim).
Nel 2017, l'Agcom ha accertato che Vivendi, avendo acquisito le partecipazioni in Mediaset, aveva violato la normativa italiana e le ha ordinato, pertanto, di rimediare. Vivendi ha obbedito, trasferendo ad una società indipendente la proprietà del 19,19% delle azioni Mediaset. Nel contempo, ha impugnato la delibera dell'Agcom davanti al Tar del Lazio, chiedendone l'annullamento. I magistrati amministrativi si sono rivolti alla Corte per chiedere se la normativa italiana sia compatibile con il diritto Ue. Per l'avvocato generale, "varie disposizioni della normativa italiana limitano la possibilità che imprese di altri Stati membri entrino nel settore italiano dei media, incidendo così sulla libertà di stabilimento". Certo, concede, la tutela del pluralismo dell'informazione "costituisce una ragione imperativa di interesse generale, la cui tutela può giustificare, in astratto, l'adozione di misure nazionali che limitano la libertà di stabilimento". L'avvocato generale considera la normativa è "idonea" a conseguire l'obiettivo del pluralismo, ma osserva che la norma deve anche essere "proporzionata", cioè non deve andare "oltre quanto necessario per raggiungerlo".
E per l'avvocato "la normativa italiana definisce in maniera eccessivamente restrittiva il perimetro del settore delle comunicazioni elettroniche, escludendo nuovi mercati che sono divenuti la principale via di accesso ai media (servizi al dettaglio di telefonia mobile, servizi di comunicazioni elettroniche collegati a Internet e servizi di radiodiffusione satellitare)". Inoltre, secondo l'avvocato generale "i requisiti di proporzionalità potrebbero non essere compatibili con la quota molto ridotta di ricavi (10%) del Sic, fissata quale limite massimo per le imprese i cui ricavi nel settore delle comunicazioni elettroniche superino il 40% dei ricavi complessivi di tale settore". Infine, l'avvocato generale ritiene "sproporzionato calcolare i ricavi delle società 'collegate' come se fossero società 'controllate' quando, come sembra accadere nel caso in questione, la società (Vivendi) che detiene una quota dei diritti di voto nell'altra (Mediaset) superiore alle soglie non è, di fatto, in grado di esercitare un'influenza notevole" sulla seconda.
MEDIASET: VIVENDI, 'SODDISFATTI, IN UE CONFERMA NOSTRA POSIZIONE'
"Siamo molto soddisfatti, si tratta di una conferma molto forte della nostra posizione". Lo afferma un portavoce di Vivendi in merito al parere dell'avvocato generale della Corte Ue, secondo cui il gruppo ha diritto di detenere il 28% di Mediaset dato che le restrizioni della normativa italiana sarebbero contrarie al diritto dell'Unione Europea.