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Salari e inflazione, Massagli (AIWA): “dibattito risalente nel tempo”
Massagli: “Nel 2020 e 2021 grazie all’azione di AIWA i datori di lavoro potevano riconoscere ai dipendenti beni e servizi fino a un massimo di 516,48 euro”
Massagli, presidente AIWA: “l’Italia ha vissuto prove ben peggiori in passato in materia di inflazione”
Emmanuele Massagli, Presidente di AIWA, Associazione Italiana Welfare Aziendale, nonché dal 2012 presidente di ADAPT (il centro studi sul lavoro fondato dal prof. Marco Biagi) e docente di Pedagogia del Lavoro alla Università LUMSA di Roma, ha le idee piuttosto chiare in merito al dibattito su salari e inflazione.
“E’ il riproporsi in salsa post-Covid di un dibattito risalente nel tempo”.
Ci spieghi meglio.
“Non ce li ricordiamo, ma l’Italia ha vissuto prove ben peggiori in passato in materia di inflazione. Fu la galoppata dei prezzi a giustificare l’implementazione della c.d. scala mobile, la cui abrogazione si deve a uno dei più coraggiosi atti delle relazioni industriali del secolo scorso: il Patto di San Valentino (1984), a cui seguì un referendum nel quale soprattutto la CISL e i socialisti riuscirono a spiegare le ragioni di una posizione (apparentemente) impopolare, tanto che oltre 18 milioni di cittadini votarono per bloccare il meccanismo di automatico incremento dei salari rispetto alla inflazione. Oggi, nell’epoca dei social e delle opinioni in 140 caratteri, sarebbe molto difficile sostenere una posizione così poco opportunistica.”
Quali sono le posizioni in campo, oggi?
“Confindustria chiede al Governo di intervenire sul taglio strutturale del cuneo fiscale, ossia delle tasse e dei contributi che gravano sul lavoro. La CGIL propone di detassare gli incrementi salariali derivanti dai rinnovi e dagli “scatti” dei contratti collettivi nazionali. La CISL, infine, suggerisce di incentivare la produttività con una più convinta e ampia detassazione dei salari aziendali e del welfare negoziato sui territori.”
Quale è, invece, la posizione del Governo?
“Se c’è, non si è capita. Per ora l’Esecutivo si è limitato a riproporre i soliti bonus una tantum: 200 euro per i redditi più bassi (redditi, non patrimoni); 200 euro per i buoni benzina; forse un incentivo per l’abbonamento ai mezzi pubblici; i vantaggi per l’edilizia etc… Nella indecisione, preferito rimanere nella comfort zone delle elargizioni a pioggia, senza troppa strategia di medio e lungo termine.”
Quali i pro e i contro delle ricette delle parti sociali?
“La richiesta di Confindustria è comprensibile, ma anche assai costosa. Vi è anche un nodo di poco conto da sciogliere a riguardo delle voci da ridurre: le tasse o i contributi? Più ragionevole intervenire sulle prime. Decisamente onerosa anche la proposta della CGIL, slegata da qualsiasi legame con l’andamento della economia e non in grado di incentivare maggiore produttività. Le soluzioni uguali per tutti rischiano di essere piuttosto inique in una economia ove le differenze tra settori produttivi e contratti collettivi sono notevolissime.”
Cosa rimane, quindi?
“La richiesta della CISL di incentivare la contrattazione di secondo livello mi pare ragionevole ed è anche economicamente razionale, poiché permette di distribuire le risorse laddove vengono create. Molto interessante anche il richiamo al welfare aziendale, un tema centrale per le imprese, ma sconosciuto a buona parte dei politici.”
Di cosa si tratta? Che cosa c’entra con il dibattito in corso?
“Si tratta dei beni e servizi che il datore di lavoro riconosce ai propri dipendenti e che, avendo finalità sociali, non rientrano nel reddito da lavoro. In altre parole: non sono tassati né contribuiti. E’ quindi un trasferimento a cuneo fiscale zero per legge, è così regolato nel TUIR. Perché non sfruttare di più questa leva per incrementare il potere di acquisto dei lavoratori?”
Concretamente, cosa si potrebbe fare?
“Si tratta di ampliare i servizi sociali che le aziende possono riconoscere ai propri dipendenti per ristorarli della alta inflazione. Faccio qualche esempio: pacchetti-abbonamento per la mobilità sostenibile, rimborso dell’affitto sostenuto dai figli dei dipendenti che studiano fuori sede, spese per l’igiene domestica, spese per gli animali domestici. Queste misure potrebbero affiancarsi a quelle già esistenti e molto apprezzate dai quasi 5 milioni di lavoratori che le usano: rimborso spese scolastiche dei figli, servizi per la non autosufficienza dei familiari, abbonamenti ai trasporti, iniziative di natura sanitaria, sociale, assistenziale e ricreativa per i dipendenti, assistenza sanitaria a previdenza complementare. L’altra strada è nota e già sperimentata: innalzare la soglia defiscalizzata prevista per i fringe benefits a 516 in maniera stabile ”
E che ne sarebbe del bonus benzina?
“Il bonus benzina è una illusione ottica! Negli anni 2020 e 2021 grazie alla azione di AIWA i datori di lavoro potevano riconoscere ai dipendenti beni e servizi di ogni tipo fino a un importo massimo di 516,48 euro. Tale cifra era interamente spendibile anche in buoni benzina. Il legislatore ha deciso a sorpresa di non prorogare la misura descritta anche per l’anno 2022, per poi approvare il nuovo bonus vincolato alla sola benzina (con buona pace degli intenti di sostenibilità del PNRR), che, alla fine dei conti, ha ridotto la disponibilità per i lavoratori di 58,23 euro. Una operazione curiosa.”