Sos FederCepi: serve un Piano straordinario per Infrastrutture e Edilizia
Negli ultimi otto anni sono fallite circa 24mila imprese edili e ridotti di 18,5 miliardi gli investimenti pubblici. Negli altri Paesi dell'Ue invece aumentano
Dal 2009 al 2017 circa 24mila imprese edili hanno chiuso i battenti per la crisi del settore. Molte di esse sono fallite per crediti e non per debiti a causa dei mancati pagamenti da parte della pubblica amministrazione. Da qui la richiesta al nuovo governo per un Piano Straordinario per le infrastrutture e l’edilizia che sfrutti al meglio le opportunità dei fondi europei, garantendo sviluppo economico e occupazione. “Al governo proporremo un pacchetto di misure che riteniamo necessarie a garantire crescita economica ed occupazionale: interventi concreti a sostegno dello sviluppo partendo dalla rivalutazione del ruolo degli investimenti pubblici e dalla riforma del sistema fiscale”, afferma ad Affaritaliani, il presidente di FederCepi Costruzioni, Antonio Lombardi.
“Dal 2009 le politiche economiche del nostro Paese sono quasi esclusivamente imperniate sulla riduzione della spesa pubblica, tornata ormai ai livelli del 2005 e, al netto degli interessi sul debito, ormai ampiamente al di sotto della media Ue. Negli ultimi cinque anni gli investimenti pubblici si sono ridotti di 18,5 miliardi mentre negli altri Paesi dell’Unione sono cresciuti, mentre la spesa corrente è rimasta sempre molto alta, nonostante vari tentativi di spending review”, sottolinea Lombardi. “Bassi investimenti e maggiore spesa corrente non hanno consentito la messa in campo di una effettiva politica economica anticiclica, con il risultato che abbiamo sotto i nostri occhi e le difficoltà che ancora scontiamo ad uscire dalla crisi. A ciò si aggiungono politiche fiscali fortemente vessatorie e repressive ben distanti dagli standard medi europei”.
Per il numero uno di FederCepi i problemi più gravi del sistema fiscale sono sostanzialmente due: l’elevata pressione fiscale su famiglie e imprese e l’incertezza del diritto. “I dati dimostrano come i profitti aziendali in Italia vengano tassati in media al 64,8% (contro il 48% della Germania e il 37% dell’Inghilterra), mentre sul reddito lordo delle famiglie il fisco pesa in misura del 28,28%. Questo stato di cose incide negativamente sulla propensione agli investimenti privati ed è aggravato dal fatto che le entrate fiscali dello Stato vengono impiegate, come detto, soprattutto per spese correnti invece che per una politica di investimenti pubblici nei settori strategici”.
Quanto al secondo punto, spiega Lombardi, “la certezza del diritto è una condizione indispensabile affinchè le imprese possano programmare i loro investimenti. “Certezza” significa essenzialmente chiarezza e conoscibilità delle leggi, sia per i contribuenti che devono seguirle, sia per funzionari e giudici tributari che devono applicarle e farle rispettare. La situazione odierna risulta, al contrario, dominata dall’incertezza: il susseguirsi affannoso di nuove norme modificatrici o abrogatrici delle norme precedenti, una scarsa considerazione dei principi sanciti nello Statuto dei diritti del contribuente e l’abuso di circolari interpretative creano difficoltà che disincentivano gli investimenti e costituiscono motivo di contenzioso tra contribuenti e amministrazione finanziaria”.
Si calcola, si legge nella nota di FederCepi, che in Italia esistano in media 15 adempimenti, 282 ore all’anno necessarie e 720 potenziali agevolazioni da controllare. In Gran Bretagna invece, il tutto si riduce ad 8 adempimenti, 110 ore all’anno necessarie ed un numero trascurabile di agevolazioni. Una differenza non da poco ponendosi nell’ottica di un investitore che deve scegliere dove fare impresa. Un’unica legge fiscale faciliterebbe sia i contribuenti di fronte agli adempimenti fiscali sia la stessa amministrazione finanziaria nella fase di accertamento, riducendo gli spazi di evasione, abuso del diritto e contenzioso.
L’obiettivo di avviare il Paese verso un nuovo percorso di sviluppo economico-industriale potrà dunque essere raggiunto, per Federcepi, soltanto se vi sarà comunanza di intenti tra Istituzioni e imprese intorno a questo “Nuovo Patto Sociale”, con una nuova politica economica orientata su questi quattro interventi prioritari: pagamento immediato di tutti i fornitori e compensazione dei crediti di qualunque P.A. per il pagamento di imposte, tasse e contributi; efficiente utilizzo della spesa pubblica (più investimenti e meno spesa corrente); abbassamento della pressione fiscale; semplificazione del sistema fiscale.
Senza azioni concrete su questi fronti, conclude Federcepi, la ripresa economica continuerà ad annaspare e il Paese continuerà a crogiolarsi su indicatori dello zerovirgola che poco o nulla incidono sull’effettivo benessere e sviluppo.