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Il papa doveva morire: “Un piano più ampio di quello descritto dalle cronache”
Antonio Preziosi ripercorre nel nuovo libro la storia dell’attentato a Giovanni Paolo II, tra dettagli inediti e una nuova analisi di fatti e di testimonianze
In questo contesto, Preziosi non si stanca di analizzare con dovizia di particolari tutti gli elementi che emergono dai dossier e dalle testimonianze, cercando di trovare anche nelle molteplici coincidenze una traiettoria per comprendere un piano più ampio di quello descritto dalle cronache. A questo tuttavia aggiunge una visione spirituale che arricchisce non poco queste pagine così dense. D’altronde era stato proprio Giovanni Paolo II a voler imprimere a questo evento una lettura di questa intensità. Non avrebbe potuto essere diversamente: “Una mano ha voluto uccidere; un’altra mano ha deviato il colpo mortale”. Una volta giunto alla Cappella dell’apparizione a Fatima, il Papa aveva detto: “Non ci sono semplici coincidenze nei disegni della Provvidenza”. L’attentato avveniva nel giorno della prima apparizione della Vergine a Fatima a Giacinta, Francesco e Lucia. Giovanni Paolo II doveva necessariamente andare oltre le coincidenze, perché nella sua vita tutto parlava di un piano divino che poco alla volta si costruiva.
L’autore si muove con facilità nel ricostruire questo percorso, perché appartiene a quella generazione che ha trovato in Giovanni Paolo II una guida solida e sicura per dare testimonianza della propria fede. San Pietro, Fatima, Collevalenza, Padre Pio, Suor Faustina… quanti elementi interconnessi che aiutano a comporre il quadro dell’esistenza di Karol Wojtyła oltre le semplici coincidenze! Tutto si può spiegare perché quell’uomo aveva un alto senso della libertà e della responsabilità con cui rispondere alla chiamata di Dio.
Nella lettura di queste pagine mi sono sentito più volte coinvolto. Ad alcuni fatti descritti ho partecipato direttamente e questo mi ha permesso di prendere parte a eventi decisivi: per quanto riguarda il mio apporto, si tratta certamente di un corollario insignificante, tuttavia, hanno segnato la mia esistenza in maniera indelebile.
Il 13 maggio 1981, nel pomeriggio, con alcuni studenti del Liceo Virgilio – dove insegnavo – mi trovavo al “Colle La Salle” in via dell’Imbrecciato, una scuola dei Fratelli delle Scuole Cristiane dove abitavo e svolgevo il ministero di Cappellano. All’epoca ero anche Assistente dei giovani di Azione Cattolica della mia Diocesi di Roma e si era pensato a un pomeriggio da vivere insieme in allegria. Nel mezzo delle chiacchiere e delle risate arriva la notizia dell’attentato. Ci guardammo tutti in faccia increduli. Alcuni giovani frères erano con noi e il divertimento si trasformò subito in uno stato di smarrimento.
Non pensai troppo e decisi subito di chiamare Luigina e Claudio, responsabili diocesani dei giovani per organizzare una veglia di preghiera in Piazza san Pietro. Chiesi di coinvolgere i responsabili di Comunione e Liberazione e altri gruppi, per raccogliere quanti fossero stati disponibili intorno all’Obelisco al centro della Piazza per una veglia di preghiera. Era già tramonto inoltrato, e per tutta la sera non cessammo di intonare canti e preghiere. La Piazza era ormai vuota e solo noi eravamo animati dal desiderio di dare una testimonianza di preghiera per la salute del Papa. A un certo punto, vidi che mons. G. Canestri, vicegerente della Diocesi, era presente su un lato della piazza con la corona del Rosario in mano e il volto molto teso. Mi avvicinai, lo salutai e lo invitai a venire dai giovani per pregare con noi. Mi ringraziò affettuosamente e mi disse che preferiva rimanere in disparte, avrebbe continuato ad accompagnarci rimanendo nel silenzio della preghiera e ai margini della piazza. Verso la conclusione della preghiera, si presentò in piazza il Sostituto alla Segreteria di Stato, S.E. Eduardo Martínez Somalo. Ci ringraziò tutti con parole non di circostanza, invitandoci a pregare, ma ricordandoci che si era fatta sera tardi ed era opportuno anche ritornare a casa. Il disorientamento comunque era tale che nessuno sapeva cosa fare al di fuori di pregare.