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Adv, sconti e accordi sottobanco: l'inchiesta accusa le agenzie media
L'accusa dell'Ana: sconti "sistemici" per l'assegnazione dei budget media negli Usa. Coinvolti i vertici delle agenzie. Publicis reagisce
Le agenzie fanno la cresta sul budget media grazie alla compiacenza dei broadcaster. Con i vertici che conoscono o addirittura incoraggiano accordi sottobanco. È il quadro del mercato pubblicitario americano secondo un'indagine di K2 commissionata dall'Ana, l'associazione che raggruppa alcuni tra i maggiori inserzionisti al mondo.
L'inchiesta è durata quasi nove mesi, ha previsto 143 interviste e visionato documenti e mail riservati. Sono state individuate così “condotte opache”. Non casi sporadici ma pratiche “di sistema” che condizionano “in modo pervasivo l'intero ecosistema di media-buying” negli Stati Uniti. Gli accordi sono spesso non ufficiali e tengono fuori i marchi, che solo in poche circostanze si ritrovano a fare parte della cricca.
Il meccanismo più utilizzato è quello degli sconti. La triangolazione del sistema prevede che un inserzionista (a seguito di gara o assegnazione) conferisca a un'agenzia il budget media. Le agenzie, a questo punto, scandagliano il mercato per individuare giornali, siti, reti tv ed mittenti radio capaci di massimizzino l'investimento. In sostanza le agenzie, in un mondo trasparente, dovrebbero scegliere i media da pagare in pubblicità in base a contatti e pubblico. Dovrebbero. Perché, secondo il report di K2, spesso ci sono accordi tra agenzie e broadcaster.
Come funzionano? I media offrono uno sconto pur di raccogliere pubblicità. E le agenzie, anziché optare per l'allocazione migliore per i propri clienti, scelgono chi applica lo sconto maggiore. Sui soldi risparmiati, le agenzie incassano. Fanno, in pratica, una cresta sul budget media. Gli sconti appurati dal report vanno dall'1,67% al 20%.
Lo sconto si manifesta in diversi modi. I contanti sono solo una delle possibilità. Ci sono anche accordi per inserzioni gratuite future o ricchi contratti di consulenza che l'inchiesta definisce “di minima utilità”. In altre circostanza, le holding hanno fatto pressioni per spingere il budget verso media dei quali le stesse holding possedevano una partecipazione.
Chi ci rimette? I brand, di certo. Che, evidentemente insospettiti, hanno commissionano a K2 l'indagine. Il loro budget ha risultati inferiori perché l'assegnazione non segue le regole del mercato pubblicitario. Ma ci rimettono anche i (pochi) media che non fanno sconti.
L'inchiesta sostiene che queste pratiche riguardano tutti. Tutti i tipi di media (stampa, web, tv, radio, outdoor) e ogni tipo di agenzia (dalle grandi holding globali alle piccole indipendenti). E non si tratta di episodi.
“Le pratiche – si legge nel report – sembrano fare regolarmente parte del business”. E non per la solerzia non richiesta dei sottoposti. “I senior executive di agenzie e holding erano al corrente o persino mandanti di pratiche opache”. In alcuni casi, continua il documento “K2 ha raccolto prove che i contratti per sconti e altre pratiche non trasparenti siano stati negoziati e talvolta sottoscritti dagli executive”. Cioè da amministratori delegati o altre figure apicali.
L'indagine non indica nessuno in modo esplicito. Ma il riferimento alla holding è talmente chiaro che Publicis ha rilasciato un comunicato in cui afferma “di rispettare tutti gli standard di trasparenza”. Accusa K2 di aver “costruito un report con informazioni anonime e non verificate” e invita l'Ana a fare in nomi. Il report, continua Publicis "non aiuta a costruire il cambiamento" e la collaborazione "tra inserzionisti e agenzie". La holding non nega che esistano casi opachi, ma rimprovera all'Ana di "distorcere il quadro" sostenendo che si tratta di pratiche "pervasive".