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MediaTech
Spotify Italia realizza un utile da 203 mila euro

Spotify è percepita come una grande minaccia da buona parte del comparto radiofonico italiano, Linus (Deejay, Capital, m2o) e gruppo Rtl 102,5 (Rtl 102,5, Radiofreccia e Radio Zeta) in testa. 


Ma il colosso svedese, guidato dal presidente Peter Grandelius, in Italia ha comunque chiuso un esercizio 2019, riporta ItaliaOggi, con un valore della produzione complessivo di appena 10,4 milioni di euro, certo in crescita rispetto ai 9,5 milioni del 2018, ma non tanto da impensierire l'industria radiofonica italiana che nel 2019 viaggiava verso i 500 milioni di euro complessivi. 


Nel 2019 Spotify Italia ha realizzato un utile netto di 203 mila euro, dopo aver versato allo stato italiano 73 mila euro di Ires e 20 mila euro di Irap, per un totale di 93 mila euro di imposte. 


Ufficialmente il fatturato prodotto dalla piattaforma svedese in Italia riguarda solo attività pubblicitarie, ovvero "servizi pubblicitari, pubblicità display, audio e video" riporta ItaliaOggi, con una organizzazione che occupa tre quadri (due nel 2018) e 19 impiegati (15), per costi del personale pari a 2,4 milioni di euro (1,8 milioni). 


Ma tuttavia appare poco credibile che un big come Spotify, che ha archiviato un 2019 a livello mondo con 6,76 miliardi di dollari di ricavi, abbia numeri così piccoli in Italia. Non è un caso che, come già anticipato in gennaio da ItaliaOggi, sia in corso un accertamento fiscale per Spotify, così come già avvenuto negli anni passati per Amazon, Google o Facebook. L'Agenzia delle entrate, secondo quanto anticipato da ItaliaOggi, contesta a Spotify gli anni di imposta dal 2014 al 2019 e si concentra su presunte violazioni in tema di assolvimento dell'imposta sul valore aggiunto e nell'applicazione del meccanismo del reverse charge ai fini Iva, dell'inversione contabile. 


In realtà il gruppo Spotify ha un modello di business con ricavi provenienti da due attività: gli abbonamenti Premium, per chi intende ascoltare la musica o i podcast senza interruzioni pubblicitarie; e la classica raccolta pubblicitaria, per gli utenti che invece usufruiscono dei servizi Spotify in modalità free. 


Ecco, a livello mondiale, sul totale di 6,76 miliardi di dollari incassati da Spotify, 6,08 miliardi di dollari arrivano dai ricavi da abbonamenti Premium (4,71 miliardi nel 2018), e 678 milioni di dollari (542) dai servizi pubblicitari. Perciò il 90% del fatturato arriva dagli abbonamenti, e solo il 10% dalla pubblicità. 


Tenuto conto che il mercato europeo è quello principale per la piattaforma svedese, si può quindi ipotizzare, continua ItaliaOggi, che anche per l'Italia il flusso di ricavi abbia le stesse proporzioni: perciò si stimano 100 milioni di euro di ricavi totali, di cui 10 milioni dalla pubblicità (i 10 milioni registrati nel bilancio di esercizio 2019), e 90 milioni dagli abbonamenti Premium, voce che però confluisce nei bilanci di altre società, ovvero la svedese Spotify AB, con sede a Stoccolma, o la controllante Spotify technology sa, di diritto lussemburghese. 


Sembra quindi si possa presupporre che al termine dell'accertamento fiscale anche Spotify si rassegni a conteggiare in Italia il fatturato effettivamente prodotto sulla Penisola (così come hanno iniziato a fare pure Facebook, Google e Amazon), con un probabile netto incremento dei ricavi nei futuri bilanci di esercizio tricolori. Questo, però, non si tradurrà in un sensibile aumento delle imposte versate, così come insegnano i bilanci italiani di Facebook, Google o Amazon che già si sono adeguati. In quanto, conclude ItaliaOggi, a fronte di maggiori ricavi, verranno contabilizzati anche maggiori costi, con una sorta di neutralizzazione dell'effetto a livello di utili prima delle imposte. 


 

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