Politica
La sinistra che non c'è: anomalia italiana
Di Carlo Patrigani
L'isola che non c'è, è come il socialismo delle origini, quello inventato nell'Ottocento per l’emancipazione, la liberazione, di ‘qualcuno’, contadini, operai, uomini e donne, da ‘qualcun altro’, la grande borghesia reazionaria. Allora il socialismo non lo si conosceva: lo si costruì poco alla volta, con le società di mutuo soccorso e le cooperative, e sotto la spinta delle tre parole d'ordine della Rivoluzione francese: libertà, ma “di qualcuno da qualcosa”; uguaglianza, ma senza calpestare "il libero fiorire delle differenze” e fraternità o solidarietà, sostituite da "mutualità", cosa ben diversa dalla fraternità o solidarietà cristiano-gesuite.
Attorno a questa utopia si sono cimentati, con alterne fortune, con errori anche disastrosi e con felici intuizioni, l'autogestione della produzione, restate tali, in tanti e in tante: l'utopia di una società che in quanto socialista riuscisse a dare a ciascun individuo la massima libertà di decidere la propria esistenza e di costruire la propria vita, fu la loro ricerca e scelta di vita. Perchè, probabilmente, l'utopia in se e quella socialista in particolare, cosa ben diversa dall'illusione o dall'abbaglio improvviso, servì allora e serve ancora non solo per poter leggere e capire la realtà culturale, politica, sociale, economica, che si ha davanti ma serve per comprendere quella specificamente umana, per da una parte riformare e cambiare l'esistente e dall'altra, progettare e costruire il nuovo, la famosa isola che non c'è, "[...] una terra dove non ci son santi nè eroi e se non ci sono ladri, se non c'è mai la guerra forse è proprio l'isola che non c'è", per dirla con Edoardo Bennato.
La storia racconta che quest'utopia non vinse, fu sopraffatta da altre teorie culturali e politiche, il comunismo e la socialdemocrazia, per un verso e il liberismo e la conservazione per l'altro: ciò è vero, l'utopia socialista non vinse, non ha vinto, ma non è stata sconfitta dalla storia, diversamente dal comunismo, sepolto sotto le macerie del Muro di Berlino, e dalla stessa socialdemocrazia scesa a patti osceni e scellerati con il neo liberismo dominante: essa puo' tornare a vivere nelle coscienze di uomini e donne per il suo inconfondibilmente laico anelito di libertà, uguaglianza e diversità. Se si esercitasse quel 'droit d'inventaire', come dicono i francesci, ossia si facesse un bilancio di quanto non ha funzionato in questi anni, non sarebbe difficile scoprire l'inconsistenza di tutti quei partiti del Novecento - Pci, Psi et similia - con i quali tagliare definitivamente i ponti, in quanto per quanto gloriosi siano stati, sono ormai vecche anticaglie e che per i loro metodi e pratiche di azione, non solo sono venuti meno alle grandi promesse disattese, mai mantenute: emancipazione, liberazione, partecipazione, costruzione dell'uomo nuovo, ma non hanno, da tempo, più l'appeal necessario tra la gente comune e soprattutto tra i giovani.
Si tratta, con coraggio, di intraprendere una nuova e per tanti versi sconosciuta ricerca, soprattutto per chi professa di avere a cuore il socialismo delle origini, abbandonando le facili scorciatoie, il catto-comunismo e i compromessi più o meno storici, le alleanze 'di potenza', come l'attuale Pd, amalgama mal riuscito, tra chi si considera rappresentante di una fede religiosa, il cristianesimo, e chi di quel mondo del lavoro in via di estinzione, i cosiddetti lavoratori e lavoratici. "Non è tanto pericolosa la sconfitta, quanto la paura di riconoscere la propria sconfitta e di trarne tutte le conclusioni", diceva Lenin. E questo ben si applica a quanti pur professando l'attaccamento al socialismo e per quanto volentorosi siano, cercano ancora scorciatoie impervie e ad alto rischio di esser depennate da un pennarello nero, affidando le loro fortune al buon Papa gesuita.