Palazzi & potere

Economia: l'Italia arranca, le sue imprese no

Il rapporto dell’Istituto Affari Internazionali sull’economia politica internazionale

Le stime emesse dalle maggiori organizzazioni internazionali sono concordi e parlano chiaro: per la prima volta dopo la crisi scoppiata nel 2008, l'economia globale sembra essere in buona salute e il periodo positivo pare destinato a protrarsi almeno fino al 2018. Permangono problemi strutturali di lungo periodo, quali la crescita della produttività asfittica o la crescente disuguaglianza, e persistono rischi al ribasso dovuti a una incertezza politica che non accenna a diminuire. Tuttavia, a partire dalla seconda parte del 2016, tanto le economie mature quanto quelle in via di sviluppo stanno facendo registrare un netto miglioramento.

Anche l'Italia sembra essersi lasciata alle spalle il periodo peggiore contrassegnato da una lunga recessione. Tuttavia, con una crescita stimata intorno all'1,0% nei prossimi due anni, la nostra economia fa registrare una delle performance peggiori tra i suoi partner europei e occidentali. In contrasto con questo stato di generale arretratezza sono invece le stime che emergono sull'internazionalizzazione delle imprese italiane, sempre più attive sui mercati stranieri, tanto in termini di export che di investimenti diretti esteri. Proprio questo rinnovato e più efficace slancio verso l'estero è uno degli argomenti centrali del Rapporto Finale del Global Outlook, presentato giovedì 6 luglio alla vigilia del G20 di Amburgo. 



Congiuntura positiva, debolezze strutturali e incertezza politica
Le ragioni alla base di questo periodo più florido per l'economia mondiale sono molteplici. La ripresa del prezzo delle materie prime ha giovato alle performance di grandi esportatori quali il Brasile e la Russia, passati da una netta contrazione del loro Pil nel 2015/'16 a una crescita stimata superiore all'1% nel biennio 2017/'18. A ciò si aggiunge la stabilizzazione dell'economia cinese intorno a un ritmo di crescita di poco superiore al 6%, che ha allontanato i timori di un ‘hard landing' del gigante asiatico. 

Dal punto di vista delle economie più sviluppate, gli Stati Uniti fanno registrare i tassi di crescita annui più alti (con una previsione al 2,8% per il 2018). L'economia a stelle e strisce risente in senso positivo delle aspettative legate a una politica fiscale nettamente espansiva, più volte promessa dell'Amministrazione Trump. In Europa, i tassi di crescita sono più bassi, attestandosi in media all'1,6%-1,7%. Alla conferma della buona salute della Germania si accompagnano performance migliori della Francia e di altri Paesi. Ad alimentare questo periodo positivo a livello globale contribuiscono anche la ripresa degli investimenti e del commercio internazionale. 

Nonostante questo quadro incoraggiante, la crescita, a livello globale e dei singoli Stati, è ancora al di sotto del suo potenziale, soprattutto se si tiene conto dello stimolo monetario senza precedenti che da anni sostiene le economie più sviluppate. La scarsa crescita della produttività che affligge molte economie comporta una stagnazione degli standard di vita. La crescente diseguaglianza, sia in termini di ricchezza che di reddito, oltre ad essere un problema etico, frena l'economia, incidendo in maniera negativa sulla domanda aggregata e sulle aspettative. A ciò si somma un'incertezza politica ai massimi livelli rispetto agli ultimi decenni: essa non si è ancora tramutata in instabilità finanziaria, ma il rischio che ciò accada se non si agisce in fretta per diminuirla è concreto. 



Il panorama italiano: tra arretratezza e slancio verso l'estero
Oltre al Regno Unito, in cui si teme inizino a farsi sentire gli effetti negativi legati alla Brexit e all'incertezza politica alimentata dai recenti esiti elettorali, l'Italia è il Paese che più delude tra quelli occidentali. 

Seppure in miglioramento rispetto agli ultimi anni, la crescita italiana è frenata da problemi di lungo corso. Le buone notizie, però, non mancano. Come evidenziato dai contribuiti che Confindustria e Sace hanno prodotto per il Rapporto Finale del Global Outlook, le imprese italiane sono sempre più attive sui mercati esteri e con sempre maggiore successo. Negli ultimi sei anni le esportazioni italiane hanno registrato una performance così positiva da farle tornare ben sopra i livelli pre-crisi: +5,6% nel 2016 rispetto al 2007, aumentando così anche il loro peso sul Pil. Le imprese italiane hanno avuto il merito non solo di difendere il proprio primato competitivo nei tradizionali presidi merceologici, ma anche di guadagnare posizioni in altri, come gli apparecchi meccanici o il settore farmaceutico. Alla base di questa maggiore competitività internazionale ci sono il miglioramento della qualità dei prodotti e la partecipazione delle imprese manifatturiere italiane alle catene globali del valore, con una specializzazione a monte delle filiere. 

Il ritrovato slancio verso l'estero si esprime non solo attraverso le esportazioni, ma anche attraverso una rinnovata e più massiccia strategia di investimenti diretti all'estero. Negli ultimi anni le imprese italiane hanno aumentato il flusso di investimenti produttivi mirati a incrementare il controllo di aziende estere, conquistando posizioni in nuovi mercati. Le destinazioni finali di questi flussi di capitali in uscita sono progressivamente cambiate a favore delle attività nei mercati emergenti, presentando essi maggiori margini di potenzialità per le aziende esportatrici e investitrici, anche se con elementi di rischio eterogenei e in aumento. 

I dati non lasciano dubbi sulla positività di questo slancio verso l'estero: le imprese che conseguono processi di crescita sui mercati internazionali registrano livelli di produttività più alti rispetto alle imprese attive sul mercato interno. Tale differenziale cresce ulteriormente per le imprese con investimenti diretti all'estero e per quelle che ricevono partecipazioni da parte di imprese o gruppi esteri, facendo registrare anche un aumento della produttività totale dei fattori.

Simone Romano, ricercatore IAI