Gentiloni preferisce Macron al buon senso: redarguisce chi vuole aiutarlo
Di fronte ai una lettera amichevole e collaborativa redatta dai paesi del gruppo di Visegrad (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia) tendente a proporre una via di soluzione, onesta e non tartufesca, alla crisi dell'immigrazione attraverso il Mediterraneo, il premier italiano Gentiloni, approfittando anche di una semplificazione sloganistica ad uso interno ed elettorale da parte del ministro degli esteri austriaco, è sbottato dicendo che l'Italia «non accetta improbabili lezioni dai paesi europei», dai quali «abbiamo invece diritto di pretendere solidarietà». Ora tutti sanno che non è facile ottenere solidarietà da parte di chi viene preso a merluzzate in faccia quando esprime la sua voglia di collaborare con un documento di azioni utili, possibili ed efficaci. Che, quantomeno, dovrebbero essere discusse. Non gettate nel cestino con il coro connivente ed entusiasta della Rai, sempre pronta a gettarla in rissa se Palazzo Chigi vuole, chiunque sia l'ospite momentaneo.
Per capire come la reazione irosa di Gentiloni sia, oltre che inconsueta, anche indebita, scrive il direttore di Italia Oggi Pierluigi Magnaschi, basta riassumere il piano serio che è stato formulato dai paesi di Visegrad che non è un diktat ma una lettera, tra l'altro stringata, per avviare una discussione al fine di suscitare una politica. I punti sono:
1) rafforzamento dell'attività Ue ai confini meridionali della Libia (per ostacolare, in terraferma, e con un'azione collettiva Ue, si noti, i flussi migratori provenienti dai paesi del Centrafrica che, tra l'altro, stanno crescendo ndr);
2) allestimento di hotspot al di fuori del territorio Ue (come quelli che ha fatto la Germania con accordi con la Turchia, il cui costo è sostenuto come quota parte anche dall'Italia che, da questo impegno, non trae nessun vantaggio diretto, ndr);
3) addestramento della guardia costiera libica (con mezzi e conoscenze, molto più di quanto sia stato fatto sinora, in pratica dalla sola Italia, con interventi simbolici e poco efficaci, ndr);
4) stimolo all'Ufficio europeo per il sostegno all'asilo, l'ufficio è oggi collocato a Malta (per affrettare le pratiche per l'accoglienza dei veri profughi in obbedienza alla legislazione internazionale al riguardo);
5) codice di comportamento delle Ong (che operano senza alcuna regolamentazione e alle volte, magari inconsapevolmente, finiscono per aiutare le organizzazioni criminali che prosperano in questo commercio di giovani vite, ndr),
Che di fronte a un pacchetto di proposte di questo tipo, serie e condivisibili, formulate in modo chiaro, pubblico e ufficiale da parte di quattro paesi che si assumono le loro responsabilità al riguardo e che tirano fuori dall'isolamento politico l'Italia (che è oggi vittima delle sue insipienze passate e degli imbrogli da essa a lungo perpetrati a questo proposito a danno degli altri paesi europei) l'atteggiamento responsabile italiano avrebbe dovuto essere quello di ringraziare sentitamente i quattro paesi di Visegrad per la solidarietà politica espressa e di entrare nel merito delle loro proposte, che hanno come obiettivo di chiudere con le inadempienze italiane del passato e di avviare a soluzione i drammatici problemi che sono stati accumulati e che adesso stanno bruciando solo in mano all'Italia.
Gentiloni e i partiti politici italiani che lo sostengono, Vaticano compreso, preferiscono evidentemente la politica del presidente francese, Emmanuel Macron (che è il presidente dello stesso paese che, ai tempi di Sarkozy, ha voluto abbattere Gheddafi con un'apposita guerra, causando così il terremoto che adesso, in pratica, ha investito solo l'Italia). Macron, usando la sua abile doppiezza machiavellica, quella che è nata in Toscana nel Sedicesimo secolo ma che oggi si insegna solo all'Ena di Strasburgo, ha ripetutamente detto, gonfiandosi come un pavone che fa la ruota, che lui è a fianco dell'Italia nella gestione dei flussi immigratori alluvionali provenienti dal Nordafrica, e si è impegnato solennemente ad accogliere, senza fiatare, la sua quota parte di immigrati («È un obbligo comunitario, no? E gli obblighi, signori miei, si onorano, molto semplicemente»).
Ma poi, bofonchiando come si trattasse di una considerazione accessoria, marginale e ininfluente, Macron ha subito precisato che la quota parte di competenza della Francia è, ovviamente, quella relativa ai soli profughi, che si possono valutare (ha detto lui stesso) in una percentuale del 4% rispetto ai migranti attraccati, con l'aiuto di tutti, nei porti italiani (è in questo, per il momento, che consiste il cosiddetto aiuto internazionale all'Italia: raccoglierli a mo' di tassì, scaricarli a casa nostra e poi chi si è visto si è visto). Va bene, ok! Ma l'altro 96% di immigrati, diciamo economici, dove lo mettiamo? È chiaro che ve lo tenete voi cari italiani, dice Macron che infatti, non a caso, blocca il passo di Ventimiglia, sguinzaglia i cani poliziotto e fa alzare in volo gli elicotteri per stanare i migranti che volessero prendere i sentieri di montagna per entrare in Francia.
E Gentiloni, assieme a tutti gli altri suoi ministri, ha fatto finta di non sentire. Per motivi umanitari, naturalmente. E poi non si sono risentiti, diciamocelo pure chiaro, per non fare la figura di Renzi che, quando non vuole ingurgitare i più grossi rospi comunitari a danno dell'Italia (che sono tanti) strilla e strepita, facendo così anche la figura del cafone, oltre che del perdente. Nei rapporti internazionali infatti, dice Gentiloni, ci vuole eleganza, savoire faire, spirito di sofferenza e, diciamo pure, quantità industriali di masochismo.
E quando i tuoi amici europei (specie i più grandi) te la fanno grossa e il peso diventa intollerabile, ti puoi sempre sfogare, come ha fatto adesso Gentiloni, con i piccoli paesi disallineati che poi sono quelli Centro-est europei che ti danno una mano e che potrebbero costituire, se organizzati in un'alleanza più vasta, un contraltare allo strapotere franco-tedesco, che adesso ha a tal punto in mano l'Europa che, prima di ogni decisione importante, il capo francese (ieri Hollande e oggi Macron) e quello tedesco (l'immarcescibile Merkel) fanno un incontro fra loro due per stabilire che cosa imporre agli altri 26 paesi. Questa non è un'Europa comune. È un collegio d'altri tempi, sopravvissuto a tutte le novità democratiche e partecipative. Un collegio tipo quello del coro di Ratisbona, dove rimane la stessa disciplina, diciamo così, che persino a Ratisbona non ha più corso.