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Gigi Riva, traiettorie acute e gioco acrobatico: se ne va l'ultimo guerriero

La scomparsa di Gigi Riva: se ne va l’ultimo vero guerriero del calcio. I beduini del deserto fischiano il silenzio a Riad

Se ne è andato l’ultimo vero guerriero del calcio italiano, Luigi Riva, detto Gigi, nome di battaglia “Rombo di tuono” che gli fu dato da Gianni Brera per rappresentarne la potenza devastante di un sinistro micidiale che sparava il pallone a oltre 130 Km/h, travolgendo tutto e tutti e sfondando la rete. Riva è nell’immaginario collettivo un mito che ha compiuto l’impresa di dare lo scudetto al Cagliari nel 1970, l’unico che la squadra isolana ha vinto.

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Lui amava ricordarsi con la maglia più pulita della sua squadra, quella bianca, con i quattro mori e senza sponsor, un retaggio di un calcio che era ancora vero, fatto di ideali e non solo di soldi come adesso. Gigi era nato a Leggiuno, provincia di Varese, sul lago Maggiore. Di quelle terre aveva preso il carattere chiuso, dedito al fare, al concreto, ai risultati, caratteristiche favorite da una famiglia povera, da orfanatrofi e collegi che ne scolpirono un carattere tagliente, spigoloso e concreto.

L’inizio, come tanti, sui campi polverosi dell’oratorio, con il prete in sottana che scendeva in campo e partecipava alla partita. L’esordio nella stagione 1962 - 63 nel Legnano, l’unica società professionistica che ha una maglia color lilla, un colore molto particolare. Poi tutta la carriera nel Cagliari dal 1962 al 1977. Contemporaneamente il decennio in nazionale dal 1963 al 1977 con la vittoria nell’Europeo del 1968 a Roma e il secondo posto nel 1970 in Messico dopo aver segnato uno storico goal alla Germania nella partita vinta dall’Italia per 4 a 3.

Gigi Riva, lombardo, divenne sardo su un carattere chiuso già predisposto alla transazione. Eccessi giovanili, fughe in macchina con la potente auto fino ad Oristano con gli amici. L’incontro con l’allenatore dello scudetto che gli fece anche da padre, Manlio Scopigno, “il filosofo”, che aveva una concezione del calcio liberal, pochi sacrifici e divertirsi giocando.

Gigi fu un giocatore “fisico”, arcigno, dal corpo asciutto, alto abbastanza per fare spesso goal di testa. Pochi dribbling, un paio di finte secche che disorientavano l’avversario e poi esplodeva la potenza deflagrante del sinistro che infilava spesso traiettorie acute e geometrizzate che insaccavano il pallone dalla parte opposta del portiere e quando invece il tiro era centrale sfondavano gli ostacoli con una potenza esplosiva.

Quando necessitava Riva era anche imbattibile nel gioco acrobatico. Famosa una sua rovesciata con un goal che segnò al Vicenza e che è entrata negli annali tra i goal più belli della storia del calcio. Giocatore legato alla sua nuova terra non volle mai lasciare la sua squadra che gli aveva dato tutto come lui aveva dato tutto a lei. Rifiutò una proposta da un miliardo per trasferirsi a Torino, alla Juventus alla corte degli Agnelli per servire i suoi colori storici il rosso e il blu di una maglia che onorò sempre con il sacrificio e il sudore della lotta.

Gravi infortuni ne limitarono la carriera ma non gli impedirono di diventare il capocannoniere della nazionale italiana con 35 goal in 42 partite. Record tuttora imbattuto. Nel Cagliari detiene lo stesso record con 164 goal. La sua immagine è associata ad una epoca preistorica ma nobile del calcio e della televisione. I suoi goal li possiamo rivedere in un magnifico bianco e nero, spesso girati al rallentatore, per mostrare tutta la potenza deflagrante del suo sinistro. Ieri sera a Riad è stato osservato un minuto di silenzio all’inizio del secondo tempo della finale di Supercoppa tra Inter e Napoli. I beduini del deserto hanno fischiato perché non conoscono neppure Riva e il suo calcio puro non inquinato dai loro soldi. Un ultimo affronto che l’ultimo guerriero del calcio italiano non meritava. Le finali italiane giochiamole in Italia.

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