Culture

Coronavirus, Sancassani (Cinema Mexico): "Riaprire come prima o è un suicidio"

di Sara Perinetto

Si inizia a parlare di riaprire le sale con disposizioni anti-contagio, ma i gestori non ci stanno: ‘Costi troppo alti’

Ormai da più di un mese le sale cinematografiche sono chiuse per le disposizioni sul coronavirus. Seppur sottovoce, negli ultimi giorni si è iniziato a parlare della loro riapertura e di come poterlo fare in sicurezza. Ci siamo chiesti come i gestori si stiano preparando a riaprire le sale in un mondo condizionato dalle disposizioni anti-contagio, e ne abbiamo parlato con Antonio Sancassani, il proprietario e gestore del cinema Mexico di Milano, un pezzo di storia del capoluogo lombardo e del cinema italiano.

Iniziano a delinearsi le modalità con cui le sale cinematografiche potranno riaprire tra pochi mesi. Sono previsti ingressi contingentati, misurazione della temperatura prima di accedere alla sala, distanze tra spettatori, sanificazione frequente degli spazi dopo ogni spettacolo… Che cosa ne pensa di tutto questo?

Ne stiamo parlando tra colleghi. Io non sono d’accordo a riaprire il Mexico con dei vincoli che secondo me sono assurdi. Sia chiaro: è giusto garantire la sicurezza di tutti. Ma allora, piuttosto, riapriamo le sale più tardi ma con meno restrizioni. Perché queste disposizioni, posti limitati, distanze, fila monitorata per le toilette, accompagnamento all’uscita per chi ha la febbre, spaventano le persone che vogliono andare al cinema per socializzare. Aprire così mi sembra un suicidio. La riapertura con quei vincoli non è più andare al cinema, è qualcosa di diverso. Allora tanto vale guardare il film a casa online.

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Antonio Sancassani nel suo ufficio a fianco del cinema Mexico

I problemi, secondo lei, riguardano più la fruizione del film da parte degli spettatori o i costi di gestione?

Entrambe le cose. Andare a vedere un film dovrebbe essere un divertimento, ma così diventa uno stress. Al cinema conta molto con chi ci si va, il fatto di stare insieme. Adesso non lo possiamo fare, ma ne abbiamo bisogno e non vediamo l’ora che succeda. Non essendo un genere di prima necessità, lo spettatore, piuttosto che andarci a queste condizioni, preferisce restare a casa. Le necessità sono stare con gli amici, socializzare, vivere la sala come luogo di incontro, ma se questo non è possibile, che motivo ci sarebbe di andare al cinema?

Così chiamato nel 1972 e gestito da Antonio Sancassani dal 1980, il cinema Mexico è uno degli ultimi monosala rimasti a Milano. 

Luogo di culto per cinefili e appassionati, è entrato nella storia per aver fatto di The Rocky Horror Pictur Show uno spettacolo interattivo, con il primo cast amatoriale italiano, capitanato da Claudio Bisio. Un rito, quello del "Rocky Horror", resistito fino al 2020.

Celebre anche per le proposte di qualità, con film spesso proiettati alla presenza di registi e cast, il Mexico si è diverse volte reso protagonista di scelte (apparentemente) lontane dalle logiche di mercato. Un esempio su tutti? Aver tenuto "Il vento fa il suo giro" di Giorgio Diritti in programmazione per oltre un anno tra il 2007 e il 2008, di fatto diventando il trampolino di lancio della carriera del regista.

Ma ritardare ancora l’apertura non è più rischioso? Le sale indipendenti come la sua possono resistere così tanto tempo senza lavorare?

Se c’è una prospettiva di collaborazione con le istituzioni, meglio soffrire un po’ di più ma aprire in modo decente. Altrimenti non sarebbe una gestione sostenibile. Consideriamo i tempi e i costi della sanificazione, per esempio: finirei a ridurre il numero degli spettacoli giornalieri, diminuendo l’incasso. Alle case di distribuzione allora converrebbe lanciare i film sulle piattaforme di streaming online e a quel punto la gente preferirebbe vederli a casa. Se dovremo per sempre andare in giro con la mascherina è un conto, ma se si tratta di un periodo di transizione, per esempio adesso si parla di riaprire a giugno, forse vale la pena aspettare che finisca e riaprire in condizioni meno precarie.

Che cosa significa, in termini di costi, applicare queste disposizioni?

Per esempio, con il mio socio, Domenico Dinoia, al cinema Troisi di San Donato Milanese abbiamo una piccola saletta con una cinquantina di posti. Abbiamo fatto quattro conti: significherebbe poterci far entrare una decina di persone. Ma come si fa? Siamo anche un cinema d'essai, non abbiamo un gran flusso di pubblico. Dovremmo far pagare 50 euro il biglietto di ingresso, per rientrare delle spese? È ridicolo.Adesso il cinema Mexico ha bisogno di due persone più il sottoscritto. Ci vorrebbero uno o due lavoranti in più, ma un dipendente costa 40.000 euro l’anno: non rientreremmo più delle spese, perché lo schermo è uno solo. Non posso tenere un prezzo del biglietto più basso così entra più gente, non ho servizi aggiuntivi per arrotondare, come certi multisala che offrono anche il servizio di ristorazione. Piuttosto che queste condizioni, ritardo l’apertura o non apro più.

Non riaprire più un’istituzione come il cinema Mexico?

Purtroppo, sì. Ci sto pensando. Se davvero le condizioni per riaprire rimangono queste, significa che il Mexico è arrivato al capolinea e non riaprirà più. Significa mettere in croce chi fino adesso ha cercato di offrire anche un servizio sociale e culturale. E non parlo tanto per me che la mia vita l’ho vissuta, ma mi fa male che il cinema di qualità di cui i giovani avrebbero tanto bisogno faccia una brutta fine.

Mi sembra di capire che la sua sia un’opinione condivisa…

Esatto. E io sono un privilegiato perché il Mexico non ha un mutuo da pagare. Ma ho tanti colleghi con affitti o mutui da sostenere, e anche se adesso si dice che queste scadenze verranno posticipate, prima o poi comunque i soldi dovranno essere versati, e come si fa se non si hanno entrate sufficienti? Nell’ultimo mese abbiamo incassato zero. E come noi, tante altre attività: ristoranti, teatri, librerie… Luoghi pensati per la socialità che saranno costretti a contingentare gli ingressi. Il Mexico finora si è difeso bene, ma se queste regole verranno confermate, servirà più personale per la loro applicazione e il controllo, e ci sono tanti locali che non si possono permettere questi costi.

C’è il rischio che i piccoli cinema indipendenti non sopravvivano a questo cambiamento?

Sì, ma voglio essere positivo. Io una settimana fa ho inviato una newsletter al mio pubblico, per dire che sto bene e sono pronto a ripartire come prima. Mi sembrava giusto farmi sentire vicino a chi per tanti anni ha frequentato il Mexico. Non me l’aspettavo, ma sono stato inondato dalle risposte e alcune mi hanno fatto piangere da quanto affetto comunicavano. Questo significa che le sale indipendenti hanno un proprio pubblico che aspetta di poterci tornare, a cui mancano i nostri cinema e i nostri film. Un pubblico che vuole bene a un certo tipo di programmazione, a un certo tipo di locale, e ne aspetta la riapertura.

Quindi non ha paura che le piattaforme di streaming possano togliere spettatori alle sale cinematografiche anche quando potremo uscire di casa?

L’hanno sempre fatto e continueranno a farlo. Adesso ci stiamo abituando all’online e sicuramente questa abitudine resterà. Ma noi abbiamo sempre avuto una peculiarità: offrire la visione di film di qualità, al buio, sul grande schermo. Dobbiamo puntare su questo, è questo che il pubblico cerca da noi.

Avete pensato di chiedere aiuto alle istituzioni?

Certo. Stiamo verificando le disponibilità. Siamo in continuo contatto con l’Anec e la Fice (Associazione nazionale esercenti cinema e Associazione italiana cinema d’essai, ndr). Io la vedo dura. Al momento siamo in attesa: i segnali arrivati finora non sono incoraggianti, ma aspettiamo le disposizioni ufficiali. Però non voglio che vengano introdotte deroghe a una legge perché gli esercenti “si sono messi a piangere”. Vorrei una legge che ha capito le esigenze del cinema e si è organizzata di conseguenza.

Secondo la sua esperienza, dopo aver vissuto questa pandemia, i gusti degli italiani cambieranno? Si chiederanno più film leggeri per staccare dalla realtà, o più film impegnati che rispecchino la difficoltà appena vissuta?

È una domanda difficile. Il cinema ha il grosso pregio di essere soggettivo, ma quello che le esperienze come la mia insegnano è che il pubblico più affezionato cerca la qualità. Questa è una certezza. Sicuramente qualcosa cambierà, ma il cinema ha più di 100 anni, ha vissuto tanti momenti difficili e li ha sempre superati. In qualche modo supererà anche questo. Però dobbiamo farci trovare pronti ad aiutarlo. Spero che quando riapriranno tutti i locali ci saranno delle norme sostenibili che rendano possibile a tutti, soprattutto ai più giovani, appassionarsi ancora al cinema come luogo di incontro.

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