Medicina

Alzheimer, scoperti i fattori di rischio e protezione. Lo speciale di Affari

SPECIALE Alzheimer: le novità su prevenzione, diagnosi, e cure. Scoperti i fattori di rischio e di protezione

Ad AAIC 2016, Toronto, la più importante conferenza al mondo su Alzheimer e demenze, 5000 esperti di oltre 70 Paesi impegnati in più di 90 sessioni, 2200 studi scientifici presentati

di Paola Serristori

“Multifattoriale” è la parola chiave. L'Alzheimer è una malattia complessa quanto sofisticato è l'organo che colpisce: il cervello. E letale. Gli epidemiologi riferiscono che uccide più del cancro al seno e del tumore alla prostata. Alzheimer's Association International Conference 2016 (AAIC 2016), la più grande riunione scientifica su Alzheimer e demenze, quest'anno a Toronto ha riunito 5000 esperti da oltre 70 Paesi, impegnati in più di 90 sessioni, in cui sono stati presentati 2200 nuovi studi. Negli Stati Uniti sono 5 milioni e 400 mila i malati di Alzheimer – un anziano su tre muore di Alzheimer o con altra demenza – , ed in Italia 1 milione 241 mila, tra cui 269 mila nuovi casi nel 2015. Il confronto tra i dati su fattori sociali, stile di vita, trattamenti farmacologici conferma che sono sempre le donne in prevalenza ad ammalarsi. Si ha motivo di credere che c'entri il cambiamento ormonale che avviene nella menopausa. Questa la tendenza globale. In Canada, nella regione dell'Ontario, negli ultimi otto anni l'aumento del 18% dei casi di demenza ha riguardato soprattutto uomini, a partire dai 66 anni. Gli scienziati riconoscono che molto più spesso di quanto si possa immaginare i medici di base, ma anche gli specialisti, sbagliano la diagnosi. Gli esami post-mortem del cervello hanno rivelato che sono proprio gli uomini a ricevere cure inappropriate, nella maggior parte dei casi per demenza vascolare anziché Alzheimer. Dunque, le statistiche dovrebbero essere riviste alla luce del margine di errore.

Nell'annuale appuntamento di AAIC 2016, ospitato dal Metro Convention Center di Toronto, la ricerca internazionale sul cervello - che ha i capisaldi negli Stati Uniti, Canada, e Regno Unito - annuncia che al centro dell'attenzione balzano i meccanismi che aiutano a difendersi dalla demenza, di cui l'Alzheimer è la forma più grave. Ovunque nel mondo l'emergenza sanitaria sta creando costi insostenibili (negli Stati Uniti, 2.6 miliardi di dollari nel 2013) e nuovi studi dimostrano che se i casi fossero stati scoperti e trattati tempestivamente alla luce delle attuali conoscenze la qualità di vita dei malati avrebbe potuto essere migliore e si sarebbero risparmiati soldi pubblici.

L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha indicato come priorità della ricerca sulle demenze la prevenzione, la riduzione del rischio di malattia, ed un alto standard di assistenza.

“La ricerca dà una speranza ed il nostro obiettivo è di consentire alle persone di invecchiare senza l'Alzheimer - ha ricordato Maria Carrillo, che guida il comitato scientifico di Alzheimer's Association - . Alzheimer's Association International Conference è un momento di divulgazione dello 'stato dell'arte' delle ultime scoperte su come contrastare il processo di malattia del cervello. Lo sentiamo un compito particolarmente importante visto che l'epidemia continua a dilagare, senza distinzione di razza, sesso, o livello sociale.”

Nei prossimi anni si sentirà a lungo parlare di “neuro-protettori” o “compensatori del rischio”: oltre ai geni portatori della malattia, esistono geni protettori contro la malattia. Gli scienziati si addentrano nel funzionamento delle normali difese dell'organismo allo scopo di potenziarle. «Ora sappiamo quali fattori sono importanti per accelerare o contrastare l'Alzheimer», sottolinea Mary Sano, membro del consiglio scientifico di Alzheimer's Association, Direttore di Alzheimer's Disease Research Center a Mount Sinai School of Medicine, New York, nella giornata di apertura, dedicata in gran parte proprio alla “resilienza”, la resistenza delle funzioni cognitive nei malati di Alzheimer. Si chiama “riserva cognitiva” il monte-premi di abilità che acquisiamo nel corso della vita. Un alto livello di istruzione, un lavoro impegnativo, relazioni sociali la incrementano. Più è consistente questa dotazione e migliore sarà la qualità di vita nell'invecchiamento.

Viene definita per la prima volta una forma di declino delle funzioni cerebrali, anticamera della demenza, che non è la perdita di memoria. L'acronimo è MBI. I medici di base dovranno essere abili nell'individuare la modifica delle abilità dei pazienti nei comportamenti (Mild-Behavioral Impairment). Gli scienziati sono certi che questi primi segnali compaiono sei mesi prima delle difficoltà a ricordare e riguardano: stati umorali, controllo degli impulsi, apatia, adeguatezza sociale, psicosi. Si manifestano con ansia, agitazione, aggressività verbale, attività ripetitive, tendenza a vagare, o al contrario apatia, isolamento, rifiuto del cibo e delle cure. E diventano ricorrenti sia nel disturbo cognitivo soggettivo che nel lieve decadimento cognitivo.

Oltre ai comportamenti, in gran parte modificabili, eventi esterni possono intaccare la salute del cervello. Uno di questi è un forte stress. Jason Flatt, University of California, San Francisco, ha presentato la ricerca condotta tra 499,844 pazienti, sessantenni ed oltre, del sistema medico Kaiser Permanente Northern California a partire dal 1° gennaio 2002. Le diagnosi di demenza sono state raccolte dalle cartelle cliniche tra il 1° gennaio 2002 ed il 31 dicembre 2014.

Dopo l'iniziale valutazione delle condizioni generali di salute, compresi diabete ed ictus, lo studio su un gruppo di anziani (71 anni l'età media) ha concluso che coloro che avevano sofferto di stress post-traumatico (post-traumatic stress disorder, PTSD) si sono ammalati più facilmente di demenza. Il loro rischio è oltre il doppio (56%) della popolazione. Inoltre, tra gli uomini con PTSD c'è stato un aumento del 90% del rischio di demenza in confronto al 41% tra le donne. In definitiva, incrociando questo dato con altri resi noti durante la conferenza internazionale a Toronto, nella seconda parte della vita le donne sono intraprendenti nella ricerca di stimoli intellettuali e sociali, anche solo sotto forma di volontariato, che sono a propria volta fattori protettivi contro il declino del cervello, invece gli uomini cadono in depressione, che accelera il percorso di malattia verso la demenza.

Un altro campo di interesse crescente è il collegamento tra sindrome di Down ed Alzheimer. Le ricerche si stanno diffondendo nel mondo. In linea di massima dai 40 anni i portatori della sindrome di Down sviluppano anche la malattia di Alzheimer. Due volte all'anno gli esperti del consorzio Down syndrome and Alzheimer's disease (DS-AD) PIA si riuniranno per condividere dati e confrontare intuizioni. Intanto che si attende la conclusione del grande studio preventivo transnazionale Dominant Inherited Alzheimer Network (DIAN), coordinato dal Professore John Morris, University of Washington, Saint Louis, da cui con ogni probabilità arriverà la cura contro l'Alzheimer entro il 2025.