Culture

Noah, la Bibbia diventa fantasy. Ma l'arca di Aronofksy affonda

di Lorenzo Lamperti

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Fede e follia. Determinazione e dubbio. Niente Dio e niente mostri. Solo un uomo che crede, o vuole credere, in qualcosa che forse esiste davvero o forse no. Realismo, che non significa aderenza ortodossa al testo sacro, bensì mistero. Il mistero di una delle storie più affascinanti della Bibbia e quindi, credenti o no, del nostro patrimonio umano, letterario, morale. Dal Noah di Darren Aronofsky ci si poteva aspettare questo. Magari con un po' di ingenuità, viste le immani spese da kolossal hollywoodiano che richiedevano forse altri ingredienti, ma ce lo si poteva comunque aspettare con un po' di fiducia verso il regista di film come Pi greco, The Wrestler e Il cigno nero. Invece Noah non è niente di tutto questo. È un (brutto) fantasy pieno di effetti speciali (e per carità, quelli vanno pure bene), mostruosi giganti di pietra. Il tutto condito da un 3d francamente superfluo (la lezione di Avatar è purtroppo ancora lontana da essere appresa). Spazio anche a tanti dialoghi didascalici e alla morale vegano-ambientalista. E poi sì, c'è pure l'arcobaleno divino.

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IL SEME DELLA FOLLIA – L'horror cult di John Carpenter (Il seme della follia, appunto) non c'entra nulla, per carità. Ma se bisogna scegliere un simbolo per il film di Aronofsky è certamente questo: il seme. Il seme del giardino dell'Eden che un Anthony Hopkins versione santone divino nei panni di Matusalemme elargisce al nipote Noè. Il seme della fede che germoglia nella mente e nel cuore del protagonista e che lo porta a compiere l'immane compito della costruzione dell'arca. Il seme della nuova vita che Ila (Emma Watson) porta nel grembo. Il seme di un nuovo mondo. E i tanti semi visivi che tornano più volte durante il film e che fungono da simboli, così come spesso accade (mischiando sacro e profano) nei film di David Lynch. Se in Dune la traccia semiologica era quella della seconda luna, in Noah a ritornare è il serpente dell'Eden a simboleggiare un peccato originale dal quale forse non ci può più liberare.

LA BIBBIA DIVENTA FANTASY – Il problema è che dopo tutto questo seminare il film, e soprattutto lo spettatore, non riesce a raccogliere molto. L'inizio lasciava presagire qualcosa di diverso, ma diventa ben presto evidente che Aronofsky ha scelto una strada del tutto diversa da quella auspicata: ha deciso di realizzare un fantasy. Ne ha le stesse regole e caratteristiche. Ci sono i mostri, ci sono i buoni e ci sono i cattivi. È vero, Noè e il figlio Cam hanno momenti di ambiguità e forse di dubbio ma la sceneggiatura non riesce a renderli credibili. E il resto dell'umanità è una massa di barbari che tutta insieme vale meno della vita di un insetto. La Bibbia è maneggiata da Aronofsky come un fantasy e questo fatto non è un male in se stesso. Il problema è che il fantasy che ne viene fuori è scadente e riesce nell'impresa di scontentare tutti. In primo luogo i credenti, basti vedere le ferventi polemiche già prima dell'uscita del film per la mancata aderenza alla tradizione. In secondo luogo anche gli amanti del fantasy, che hanno potuto visto mondi più fantastici, supereroi più forti e mostri più spaventosi. Ma anche tutti gli altri spettatori, quelli che si avvicinano al film senza preconcetti di alcun genere, potrebbero essere delusi per un film che degenera la Bibbia senza però costruire nulla di nuovo. Su questo terreno Aronofsky il suo seme non è proprio riuscito a piantarlo.